Flat tax e Avvocati

Flat tax e Avvocati

di Giovanni Pansini (Avvocato in Trani)

Abstract: Il dibattito politico sulla prossima manovra fiscale si sta concentrando su alcuni temi che vanno direttamente o indirettamente ad impattare sul lavoro autonomo: la riduzione delle ipotesi di tassazione a forfait e l’introduzione di meccanismi di lotta all’evasione.
Ma le cose stanno davvero in questi termini?
I professionisti non devono essere criminalizzati ma devono acquisire la consapevolezza e l’orgoglio di far parte di un comparto importantissimo nei Paesi economicamente e culturalmente più avanzati, e che, pertanto, dovrebbero essere chiamati a collaborare alla stesura della prossima legge di Bilancio.

Il fenomeno dell’Evasione in Italia

Il dibattito politico sulla prossima manovra fiscale si sta concentrando su alcuni temi che vanno direttamente o indirettamente ad impattare sul lavoro autonomo: la riduzione delle ipotesi di tassazione c.d. a forfait e l’introduzione di meccanismi di lotta all’evasione.
Va fatta una premessa: il fenomeno dell’evasione deve essere eradicato e non è giustificabile in alcun modo.
La Costituzione, all’Articolo 53, prevede che tutti debbano concorrere alle spese pubbliche in misura corrispondente alla propria capacità contributiva.
Per gli Avvocati, il non corretto adempimento degli obblighi fiscali costituisce un illecito sanzionabile deontologicamente.
Tuttavia, il frenetico avvicendarsi di opinioni finisce per penalizzare la corretta informazione e l’opinione pubblica viene eccitata con messaggi che spesso imputano ai professionisti colpe che, probabilmente, non hanno.
Il fenomeno dell’evasione va ricondotto nei suoi contorni reali e definiti.

Il primo mito da sfatare

è che il tax gap, ovvero la differenza tra il gettito fiscale stimato e quello reale, sia eliminabile esclusivamente attraverso una legislazione repressiva, le c.d. “manette agli evasori.”
Non sono convintissimo che questa sia l’unica strada.
Andando a guardare Paesi spesso citati come esempio per la legislazione repressiva in campo fiscale, per esempio gli USA, si può verificare che inaspettatamente, nonostante un Fisco più efficiente ed una legislazione repressiva, esiste un forte Tax Gap, il cui dato è stimato in una media di 458 miliardi di dollari annui.

Il secondo mito da sfatare

è che il Tax Gap dei lavoratori autonomi e delle imprese del nostro Paese, sia ascrivibile interamente al fenomeno dell’evasione fiscale.
Una Commissione Ministeriale si occupa da tempo di individuare e comprendere il fenomeno dell’economia sommersa, e fornisce annualmente stime del Tax gap, i cui dati sono pubblici (ultimo report).
Disaggregando il dato corrispondente al divario tra quanto i contribuenti avrebbero teoricamente dovuto versare e quanto hanno effettivamente dichiarato, e rapportando tale dato al gap dovuto a omessi versamenti, (calcolando quindi il divario tra quanto dichiarato e quanto effettivamente versato) è possibile verificare che una buona parte del tax gap, in particolare IVA, corrisponde a errori in dichiarazione o a mancati versamenti.

Nella media del periodo 2012-2017 il gap complessivo relativo all’IRPEF da lavoro autonomo, IRES, IVA, IRAP, locazioni e canone RAI ammonta a circa 85,9 miliardi di euro, di cui 14,1 miliardi sono ascrivibili alla componente dovuta a omessi versamenti ed errori nel compilare le dichiarazioni, mentre il gap derivante da omessa dichiarazione ammonta a circa 71,8 miliardi di euro

In altri termini, una buona parte del tax gap deriva da errori in dichiarazione e omessi versamenti, a volte dovuti anche a carenza di liquidità, talvolta connessa al mancato o ritardato pagamento delle P.A.

Circa 1/6 del Tax Gap, quindi, dati alla mano, potrebbe essere ridotto o eliminato semplicemente rendendo più efficiente nei pagamenti la P.A. e introducendo semplificazioni negli adempimenti fiscali, (ad esempio potenziando l’utilizzo delle informazioni già presenti nelle banche dati dell’Amministrazione Finanziaria e “mettendo al lavoro i dati -“putting data to work” – piuttosto che i poveri contribuenti, come, peraltro, consigliano Organismi internazionali come l’O.C.S.E. in alcuni report).

In terzo luogo, i dati pubblicati dal report sull’economia sommersa nel nostro Paese evidenziano che la propensione al tax gap non è omogenea, ma è particolarmente elevata solo in alcune Regioni mentre in altre è inferiore alla media.
Ne consegue che, probabilmente, non sono tanto gli strumenti normativi ad essere inadeguati, quanto il contesto socio – economico in cui le norme operano e vivono.

Infine,non dobbiamo dimenticare che, nel 2016, il nostro Paese chiese a due Organismi indipendenti e sovranazionali (O.C.S.E. e F.M.I.) di elaborare un “Rapporto sull’Amministrazione Fiscale”.

I report che ne sono scaturiti sono liberamente consultabili ed evidenziano due anomalie molto gravi nel nostro Paese.
La prima è l’entità dell’evasione IVA (ascrivibile, tuttavia, in massima parte a vere e proprie truffe organizzate, spesso di dimensioni sovranazionali, che non hanno nulla a che vedere con lavoratori autonomi e professionisti in genere).
La seconda anomalia riscontrata fu l’inefficienza dell’attività di riscossione che portò alla conseguenza della trasformazione di Equitalia SpA (società per azioni di capitale pubblico) in Agenzia delle Entrate – Riscossione mediante un Decreto Legge.

La strada da intraprendere e consigliata dai due Organismi (F.M.I. e O.C.S.E) nei Report affidati al nostro Paese non era affatto quella repressiva, ma, al contrario, quella di stimolare le attività di compliance con i contribuenti, e le attività di acquisizione di informazioni e di dati da utilizzare per i controlli automatici delle dichiarazioni.

La c.d flat tax per lavoratori autonomi.

Nel vortice delle polemiche è finita anche la c.d. flat tax (rectius: il c.d. regime a forfait), che meno di un anno fa aveva visto elevare i limiti di accesso (portati da un massimo di 30.000,00 ad un massimo di 65.000,00 euro di compensi per gli avvocati) e l’eliminazione dei limiti delle spese sostenute per lavoro accessorio o per collaborazioni, ritenuti eccessivamente penalizzanti.
Molte critiche al c.d. sistema forfettario si sono concentrate su di un presunto eccessivo vantaggio fiscale per il professionista, a discapito di altre categorie di lavoratori e sull’effetto distorsivo che il c.d. forfait determinerebbe sul sistema tributario complessivo.

Non concordo con le critiche, e non per una mera difesa categoriale che neppure mi spetterebbe, ma solo per amore di verità.
Sul presunto effetto distorsivo mi permetto di ricordare che il nostro sistema tributario è già estremamente distorto e non certo per colpa del c.d. “regime a forfait”.

Infatti, come rilevato anche dalla Corte dei Conti nel “Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica” pubblicato il 12 luglio 2018, il principio di progressività tributaria ha finito col perdere col tempo gran parte della sua efficacia, essendosi sovrapposti numerosi interventi normativi che ne hanno di fatto eroso la portata e creato significative situazioni di disequilibrio e si si presenta complesso, rischioso per il professionista che decide di intraprendere una attività, e sperequato, andando ad incidere proprio sulle categorie di reddito intermedio, in quanto il carico fiscale, a causa dell’abbondanza di redditi medio bassi, finisce col gravare in maniera sproporzionata proprio sui tanti contribuenti che godono di redditi rientranti nel terzo scaglione di reddito (quello tra i 28 mila e 55 mila euro), e che sopportano il maggior peso dell’onere fiscale.

Sul presunto vantaggio del c.d. forfait a discapito di altre

categorie di lavoratori, mi permetto di rammentare che, con la Decisione di esecuzione del Consiglio U..E del 15 Novembre 2013, il nostro Paese è stato autorizzato ad estendere la misura del forfait anche a fatturati fino a 65.000,00 euro, anche in deroga alle disposizioni in materia di IVA dell’Unione Europea, in quanto tale esigenza corrisponde a quella individuata dalla Commissione UE, che, nella Comunicazione, chiamata “Pensare anzitutto in piccolo. Una corsia preferenziale per la piccola impresa – uno Small Business Act per l’Europa”, ha sottolineato la necessità che i Paesi Membri trovino forme di incentivazione per le piccole attività economiche.

Conclusioni

Sembra paradossale che il nostro Paese, la cui struttura economica e la cui ossatura si reggono su Professionisti e PMI, possa andare in direzione opposta ad una incentivazione di queste attività, magari a vantaggio di altre realtà meno utili al nostro “Sistema Paese” ed anche contro le indicazioni della Commissione Europea.

Occorre cercare nella controparte politica una visione di medio periodo che incentivi l’attività professionale dei c.d. servizi legali, e quella professionale in genere, tipica delle società e dei Paesi più evoluti intellettualmente e culturalmente, anche in un’ottica di sviluppo economico.

A tal proposito, è necessario che si costituisca al più presto un tavolo tecnico, a cui siano chiamati a partecipare le categorie professionali, e che possa seguire l’iter della Legge di Bilancio e fornire il proprio contributo propositivo.

In altri termini, mi aspetto che a contribuire a determinare l’indirizzo economico del Paese siano chiamati anche i Professionisti.

Questi ultimi possono rivendicare con orgoglio il fatto di essere il motore del comparto dei servizi professionali (fulcro delle economie dei Paesi più avanzati) e la consapevolezza di aver contribuito in maniera costante ed effettiva al progresso non solo economico, ma anche culturale e sociale del nostro Paese.

L’auspicio è che, terminata l’era degli “interventi spot” utili soltanto a creare facile ed effimero consenso nei sondaggi, si avvii una seria stagione riformista, accompagnata da una visione strategica, una progettualità di medio periodo, riforme strutturali, innovative ed intelligenti, al cui disegno siano chiamati a fornire il proprio contributo i Professionisti del nostro Paese.

Photo credit: images.UTAA_Main_entrance_of_the_Univ.of_Seoul

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