Decreto Nordio verso il processo civile deumanizzato
di Enzo Varricchio
Pubblichiamo uno stralcio della lezione tenuta dall’avvocato Enzo Varricchio, giornalista e scrittore, in occasione del seminario “Parlare il diritto” svoltosi il 7 giugno 2023 presso l’Ordine degli Avvocati di Bari, dal titolo:
Diritto “è” lingua: la comunicazione giuridica nell’era della chiarezza e della sinteticità digitali
Lo schema di decreto del Ministro della Giustizia Nordio del 23 maggio 2023 e la Riforma Cartabia, con l’ingabbiamento degli atti processuali civili entro limiti di lunghezza e modalità ben determinati in parametri informatici, sono l’ennesimo passo verso la progressiva deumanizzazione della giustizia civile che, con le udienze virtuali a partire dalla pandemia, ha smantellato l’oralità a vantaggio della digitalizzazione, rendendo ridondante il rapporto diretto tra parti del processo, difensori e giudice. Tutto apparentemente in nome della velocizzazione dei giudizi ma, in realtà, in base a un disegno ben preciso e perseguito nel tempo, rispondente alla logica globale della progressiva sostituzione della macchina all’uomo, con il malcelato pericolo della riduzione dell’uomo a macchina, non più servito quanto comandato da essa. Lo aveva già detto Marx, niente di nuovo.
Però, il cambiamento passa ora attraverso il linguaggio.
Mentre noi cerchiamo faticosamente di rincorrere le evoluzioni delle strutture comunicative della macchina, lei è lesta a imparare la nostra lingua (soprattutto dalle nostre incertezze e dai nostri errori di comunicazione con lei), sovvenendoci nei momenti in cui non riusciamo a capire la sua. Per gli atti giudiziari civili è apparsa nel sistema la voce “deposito facile”, riservata agli incapaci informatici come me, che prima si imbrogliavano, supplicando i cancellieri di aiutarli nei momenti di fibrillazione telematica, mentre ora l’applicativo ti prende per mano e ti conduce dove lui vuole spedirti, senza possibilità di errore alcuno.
Questa è la società dell’horror erroris, del “chi sbaglia è perduto”, una società dimentica che se l’essere umano non avesse combinato un sacco di fesserie non avrebbe imparato un tubo e non si sarebbe evoluto. Ho sempre evitato chi non sbaglia mai, o almeno così dice.
Francesco Carnelutti ebbe a difendere l’oralità del processo, quale strumento necessario per consentire il dialogo tra il giudice e le parti e di queste tra loro al fine di conoscere la causa da decidere.
Col computer non si dialoga, si obbedisce alle sue logiche. Niente dialogo, niente giustizia.
Quando la macchina avrà imparato la nostra lingua, con le sue enormi capacità di analisi dei dati in tempi sempre più brevi, forse potrà fare a meno di giudici e avvocati; lei non sbaglierà mai e non saremo più liberi di sbagliare nemmeno noi, né di escogitare nuove soluzioni ai vari problemi giuridici. Si rimpiangerà la tanto criticata giurisprudenza creativa che, tuttavia, spesse volte ha ispirato gli interventi legislativi che hanno reso il nostro un paese (quasi) civile.
L’intelligenza artificiale tutto è fuorché intelligente; è tanto potente e sapiente ma le mancano fantasia, creatività, intuizione, empatia, determinazione e l’esperienza della strada, doti così importanti nelle professioni forensi. Il pensiero umano è un’altra cosa.
Una volta il processo veniva considerato una sorta di romanzo, la narrazione di una storia attraverso le narrazioni dei personaggi nei vari ruoli.
Oggi, il processo non è più nelle mani dei suoi protagonisti ma in quelle dei consulenti informatici.
E’ troppo tardi per opporsi alla dematerializzazione del processo, alla sua digitalizzazione, agli schemi informatici che minacciano di comprimere le facoltà della difesa. L’avanzata di “AI-giustizia” sembra inarrestabile.
Non sarò un po’ troppo apocalittico?
Lo sarò senz’altro, ma a pensar male… A pensar male, nel frattempo occorre attrezzarsi, e non solo con il “lavoro ombra” di qualche mente giovane dietro le quinte dello studio legale, in grado di far fare a Chat gpt quello che sa fare e permettendo all’Avvocata/o con la A maiuscola di lavorare solo di fioretto sugli atti.
Anche per fare una ricerca, tuttavia, bisogna conoscere il linguaggio della macchina ma, prima di tutto, il linguaggio in generale. E ormai, mentre tutti “ragliano” un po’ di inglese e di informatica, sempre meno sanno parlare e scrivere in maniera corretta e consapevole.
Occorre ora conciliare tecnologia e umanesimo del diritto in una visione nuova, tradotta in un linguaggio a metà strada tra uomo e macchina, in cui la riduzione informatica dei tempi burocratici non precluda la ricchezza argomentativa della lingua giuridica e la dialogicità del processo, la sua umanità.
Abbiamo però poco tempo a disposizione.
Il futurologo tedesco Thomas Bialas ha profetizzato che nel 2030 i robot avranno imparato la nostra lingua e potranno scambiarsi di ruolo con noi: loro a coordinare e noi a lavorare ai loro ordini? Questo è lo scenario distopico del film Matrix ma niente paura. E’ solo fantasia.
La giustizia è quanto di più umano esista, non la conoscono piante e altri animali. Non è proprio il caso di lasciarla a dei “Replicanti”.
In copertina: Deumanizzazione (Folla), Pino Verrastro ed Enzo Varricchio, Fotocomposizione su lastra metallica, 2020
Di Enzo Varricchio su Ora Legale NEWS
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