
Social freezing
(o la crioconservazione degli ovociti per il futuro)
di Roberta De Siati (Avvocata in Bari)
Nel 2014 Apple e Facebook hanno offerto alle loro dipendenti di inserire nel contratto di assunzione una clausola del tutto peculiare in base alla quale la società si sarebbe assunta le spese di congelamento dei loro ovuli qualora le dipendenti, per ragioni inerenti la carriera, avessero voluto scegliere di avere i figli più avanti nel tempo.
I quotidiani di allora, tutt’ora on line (Italia oggi 16.10.2014), affermano che tale procedura sarebbe stata accolta dalle “femministe” come una svolta epocale per la vita lavorativa della donna e definita da Bloomberg Week paragonabile all’introduzione della pillola anticoncezionale.
Immagino una giovane dipendente che voglia fare carriera e, possibilmente, infrangere il “tetto di cristallo” che decida di approfittare della “grande possibilità concessale” dal datore di ignorare i tempi della natura sottoponendosi alla stimolazione ormonale, al prelievo degli ovociti, alla loro crio-conservazione senza avere neppure la certezza di rimanere incinta o portare a termine la gravidanza quando, finalmente, avrà il tempo per diventare mamma.
La questione a me appare, invece, del tutto controvertibile e non mi sembra che si tratti di una azione positiva per rendere veloce la carriera delle donne, ritengo, invece, rappresenti un’ulteriore manipolazione che si consuma sul corpo femminile.
Quello che è certo è che non andare in maternità durante il rapporto lavorativo è un bel favore al datore di lavoro che non dovrà occuparsi di assumere un’altra risorsa, formarla per poi perderla al ritorno della titolare dal periodo di astensione per maternità e da “chissà quanti” periodi di congedo parentale.
Sembra che siano ancora pochi, infatti, gli imprenditori come Simone Terreni che ha assunto una lavoratrice incinta ritenendola una risorsa e si è scandalizzato per le affermazioni della “collega” imprenditrice, la stilista finita al centro delle polemiche per avere affermato di non assumere donne sotto i 40 anni in ruoli dirigenziali per non doverne poi fare a meno per lunghi periodi in caso di maternità.
Il presunto vantaggio della crioconservazione per la lavoratrice, dunque, è “futuro” ed “eventuale” mentre la sua presenza al lavoro è “certa” e “attuale”.
Potrà avere più chance di fare carriera ma se poi, per altre vicende della vita professionale, ciò non accade e non riesce neppure a portare a termine la gravidanza con gli ovuli crioconservati? Con chi se la prenderà?
Lasciamo perdere, poi, l’aspetto medico, per il quale non sono competente, anche se avrei qualche difficoltà a prendere alla leggera la stimolazione ovarica per ovviare alla mancanza di strategie di conciliazione vita lavoro.
La mia osservazione non deriva neppure da un problema etico: sono per la fecondazione artificiale o la crioconservazione degli ovociti, etc. etc., esattamente come sono a favore del trapianto d’organo.
L’aspetto della questione che mi interessa è quello della discriminazione di genere nel mondo del lavoro che paga lo scotto della mancata crescita demografica, dell’uscita dal mondo del lavoro delle donne al primo figlio, del gap reddituale tra donne e uomini, del tetto di cristallo nella progressione di carriera, tutte problematiche collegate alla maternità o comunque alla gestione della famiglia.
Quando si parla di figli, di famiglie, di parte debole della famiglia si interagisce con i sentimenti, si gioca sul senso del dovere e sui desideri delle donne, sulle quali continua a insistere il carico relativo, come leva per compiere scelte che diversamente non verrebbero neppure prese in considerazione.
È essenziale, e non da oggi, combattere in ogni modo la desertificazione demografica che, in Italia, ha visto passare il numero di bambini nati vivi da circa 550mila nel 2001 ad appena 400mila nel 2021 (amp.openpolis.it) per le note ragioni che attengono alla sostenibilità economica del sistema pensionistico e, più ingenerale, all’economia perché ricordiamoci sempre che le bimbe e i bimbi di oggi sono le lavoratrici e i lavoratori, le scienziate e gli scienziati, di domani, sono il nostro futuro non solo a parole.
La proposta di “offrire” la crioconservazione alla lavoratrice appare come uno stratagemma, neppure troppo sottile, che potrebbe essere vissuto dalla lavoratrice come un ordine di avvalersene in barba al dovere che incombe sul datore di lavoro di proteggere il lavoratore/la lavoratrice, dovere stabilito per legge.
E cosa succede se dopo avere accettato la clausola rimani incinta? Devi abortire? O restituire il denaro della crioconservazione… sarebbe interessante leggere cosa preveda il contratto made in USA, in tal senso.
Infine, sembra che tra le più giovani lavoratrici la pratica del social freezing sia stata invocata come misura contro il timore di non riuscire ad avere figli a causa dei tempi del lavoro terribilmente stringenti.
La soluzione invocata, tuttavia, sembra peggiore del problema.
Da un canto, infatti, i bambini ci servono ora e non tra dieci anni o più, per cui la crioconservazione che sposta la soluzione in avanti nel tempo, quando invece il problema è attuale da almeno trent’anni, non è quello che serve alla società attuale.
Senza tenere conto che una mamma di 40-45 anni vorrà crescere i suoi figli fino alla loro autonomia lavorativa e, di conseguenza, quanti figli potrà avere?
D’altro canto, poi, la piramide demografica (ovvero la rappresentazione grafica della popolazione per classe d’età che descrive l’andamento demografico di un paese) dovrebbe avere una base larga (tanti figli quando i genitori sono giovani) e una sommità stretta.
Questa rappresentazione indicherebbe un Paese in crescita in cui la densità demografica dei nuovi nati fa prevedere un aumento della forza lavoro nel futuro e, dunque, prosperità della società.

La piramide italiana, invece, attualmente è rovesciata in quanto i figli si fanno in età sempre più avanzata.
Questa rappresentazione indica una società in cui la crescita demografica è praticamente nulla, in cui il divario tra nuovi nati e pensionati comporta effetti negativi sul debito previdenziale.
Insomma da qualsiasi punto si veda questo social freezing non convince se utilizzato per procrastinare il momento della maternità, in mancanza di altre misure, in attesa del mitico “momento giusto”.
In una società a crescita demografica bassissima come l’Italia in cui, secondo l’ISTAT (Novembre 2021), nel 2050 e cioè appena tra una generazione, il rapporto tra giovani e anziani sarà di 1 a 3 mentre la popolazione in età lavorativa scenderà in 30 anni dal 63,8% al 53,3% del totale, la questione della maternità e dei figli è, dunque, un “fatto di Stato”.
È lo Stato che si deve occupare della lotta alla “crescita demografica zero” incentrando le sue azioni, piuttosto che sulla sospensione della fertilità fino a tempi migliori (per il datore di lavoro), sul cambiamento della società, sul cambiamento dell’organizzazione del lavoro in modo tale che i paradigmi androcentrici quali gli orari incompatibili con la cura della parte debole della famiglia, l’eccessiva importanza data al c.d. “tempo di facciata”, la discriminazione nei confronti dei padri che utilizzano il congedo di paternità e, più in generale, i congedi parentali, sia definitivamente sterilizzata.
Contemporaneamente si deve continuare a migliorare l’organizzazione dei servizi di supporto alle famiglie, incentivare la condivisione del carico familiare e della genitorialità per sperimentare nuove strategie che consentano alle donne di avere figli senza essere discriminate di fatto nella carriera lavorativa e non, invece, il contrario.
Lo Stato deve anche indurre la società a cambiare con strategie economiche adeguate perché la cultura del cambiamento è troppo lenta per l’emergenza che stiamo vivendo: il mercato del lavoro deve consentire ai giovani di avere una stabilità lavorativa sufficiente per fare figli nell’età anagrafica più adeguata.
Provare ad avere figli presto consentirebbe anche la scoperta precoce di eventuali problemi che possono rendere più difficile, per la coppia, la ricercata gravidanza e, allora, la crioconservazione degli ovociti sarebbe una risorsa, da gestire nell’ambito delle procedure della Procreazione Medicalmente Assistita le cui risorse andrebbero ampliate anche per evitare le “emigrazioni procreative” sia dall’Italia verso i Paesi esteri che dal Sud Italia verso il Nord.
È comprensibile che in mancanza di questa sensibilità della società una giovane lavoratrice, o un giovane lavoratore, si sentano costretti dalle circostanze a trovare soluzioni estreme così come sono estreme le condizioni di lavoro e, dunque, a chiedersi se sia meglio, piuttosto che rinunciare ad avere figli, a conservare gli ovociti ma, evidentemente, non è una strada che esprime una libera scelta.
Il cambio di passo deve essere anche veloce perché l’ISTAT prevede, tra le altre cose, anche la crescita del numero di famiglie ma con un numero medio di componenti sempre più piccolo, meno coppie con figli, più coppie senza e, per finire, entro il 2040 una famiglia su quattro sarà composta da una coppia con figli, più di una su cinque non avrà figli.
Facciamo in modo che tutto ciò non accada e che la cultura della natalità, desiderata e compatibile con ogni tipo di famiglia e di lavoro, non sia più sottovalutata confondendone i fini con quelli delle teorie maschiliste e patriarcali alla base di taluni movimenti “per la famiglia” perché tutto è, tranne che questo.
Image credits: Mrinalini Mukherjee, Tree Woman https://1.bp.blogspot.com
Di Roberta De Siati su Ora Legale News
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