
Riforme, la metà del bicchiere
di Aldo Luchi (Avvocato in Cagliari)
Fino alla fine degli anni ’80 le riforme in ambito giudiziario hanno riguardato grandi temi sostanziali e sono seguite a grandi battaglie civili, talvolta culminate in referendum popolari.
L’introduzione delle nuove discipline dell’aborto e del divorzio, l’abolizione della criminalizzazione dell’uso personale di stupefacenti, la modernizzazione del processo penale sul modello accusatorio (sulla spinta di abominii come la vicenda di Enzo Tortora e tante altre) sono tutte riforme che hanno fatto seguito ad altrettanti movimenti di pensiero, spesso trasversali sotto il profilo ideologico.
Dopo Mani Pulite, fin dalla cosiddetta seconda Repubblica, le riforme della giustizia sono diventate un vessillo da agitare per distinguersi dai competitors politici, a mo’ di Guelfi e Ghibellini, e sono state realizzate talvolta devastando istituti secolari di civiltà giuridica, ma sempre senza riuscire a conseguire il risultato sbandierato.
In alcuni casi, abbiamo perfino assistito alla cessione ad alcuni movimenti politici di battaglie civili fondamentali, come avvenne con quella sulla separazione delle carriere (ma si dovrebbe parlare più correttamente di separazione delle magistrature) a un leader politico con molte, troppe pendenze.
Tra i vessilli che abbiamo visto agitare dai Guelfi e dai Ghibellini spiccano senza dubbio la “celerità dei processi“, la “certezza della pena“, e soprattutto la “efficienza della giustizia“.
L’inutilità di queste riforme è sotto gli occhi di tutti: i processi sono sempre più lenti, le carceri scoppiano (complice anche il panpenalismo imperante e il preoccupante ricorso alla carcerazione preventiva) e la giustizia è sempre più costosa e meno efficiente.
Last but not least, la “informatizzazione del processo”.
E le numerose criticità rilevate nei primi step applicativi, almeno nel processo penale, non lascia sperare nulla di diverso.
Se provassimo a metterci tutti in una inedita prospettiva culturale, condividendo l’idea che il funzionamento della giustizia non è una bandiera di parte ma un interesse di tutti, che i paletti frapposti al libero accesso di tutti i cittadini alla giurisdizione costituiscono altrettante lesioni dello Stato di Diritto, che una giustizia funzionante richiede necessariamente poche norme e chiare e investimenti, potremmo ragionevolmente perseguire il fine di rendere la giustizia un servizio finalmente aderente alle necessità dei cittadini.
Diversamente, andremo avanti di fallimento in fallimento
Di Aldo Luchi, su Ora Legale News
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