Chi ha paura dell'I.A.

Chi ha paura dell’I.A.

di Anna Losurdo

Il futuro prossimo incombe e per molti versi già frequentiamo il nuovo spazio abitato da intelligenze artificiali di vario genere.
Certamente, i vantaggi della facilitazione apportata dagli algoritmi alla nostra vita hanno un costo. E vista l’accelerazione con la quale progrediscono informatica e tecnologia, quel futuro ci coglierà di certo impreparati su più fronti.

Per noi è abituale ormai parlare di macchine: quella amministrativa, in generale; quella della giustizia, nello specifico.

Ne parliamo in termini di efficienza dell’apparato burocratico, sempre da migliorare. In realtà quell’apparato è fatto da persone e da procedure.
L’interrogativo da porsi è, quindi, prima di tutto, relativo a cosa e perché ci riferiamo alla macchina.
Ci riferiamo al meccanismo composito e quindi ne richiamiamo la migliore possibile efficienza?
O inconsciamente alludiamo alla migliore efficienza che la macchina in quanto tale, ossia il macchinario è in grado di offrire in confronto alle possibilità umane?

Perché ci sentiamo inferiori ai dispositivi?

Certamente i macchinari produttivi garantiscono una riproduzione uniforme, senza errori, senza difformità. E in questo senso la possibilità di ottimizzare le procedure con analoghi criteri è senza dubbio un fattore positivo.

Ma se cambiamo prospettiva siamo certi che la indefettibile capacità di un dispositivo tecnologico di uscire dal percorso obbligato dalla sua programmazione sia la risposta migliore rispetto alle capacità umane?

L’utilizzo dell’informatica e delle procedure digitalizzate nell’ambito della P.A., per esempio, non può rappresentare una limitazione dei diritti delle persone interessate, anche se comporta maggiore efficienza.

Ciò che caratterizza le singole persone e le loro relazioni con il mondo esterno, la singolarità e la specificità di ogni vita umana, non rientra nei modelli e viene escluso dai calcoli.

Il dilemma etico primario resta quello posto dalla tipologia di istruzioni da impartire alla macchina e quindi dalla programmazione dell’I.A.
Per predisporre i programmi non si può prescindere dai giuristi, come vedremo in seguito.

L’intelligenza artificiale può funzionare solo a condizione di prescindere dall’individuo come soggetto delle proprie scelte e dalle azioni consequenziali. L’individuo viene, così, sostituito da un profilo composto dai micro- comportamenti e micro-interessi raccolti dai big data ed elaborati dagli algoritmi. Questi ultimi escludono dai calcoli tutti gli aspetti della nostra vita che non rientrano nella logica lineare del processo di elaborazione.

Con riferimento al diritto, il fatto che esso sia prevedibile risponde alle esigenze dell’impresa capitalista, del paradigma del dare e dell’avere, ma la certezza del diritto è anche garanzia dei diritti e della libertà delle cittadine e dei cittadini.

Se ci soffermiamo a riflettere comprendiamo il paradosso nel quale ci muoviamo.

Viviamo in una realtà sempre più complessa e, nel contempo cerchiamo risposte preconfezionate ai nostri problemi. Abbiamo rinunciato all’uso della ragione e affidato la gestione della nostra vita alla razionalità degli algoritmi. Risposte semplici a situazioni complesse: non può funzionare. Perché la logica lineare non corrisponde alla complessità della realtà e della esistenza che gli algoritmi non sono in grado di rappresentare.
Dobbiamo essere capaci di avvertire la distanza esistente tra la complessità del mondo reale e la semplificazione alla quale la riduce il mondo digitale.

Da più parti si prospetta la progressiva scomparsa degli avvocati a favore delle tecnologie predittive dell’intelligenza artificiale di cui potranno beneficiare direttamente cittadine e cittadini, nell’ambito della vita privata o lavorativa e imprenditoriale.

Proprio la crescente complessità della vita sociale sembra, invece, ampliare gli ambiti di operatività degli avvocati perché la difesa dei diritti, dentro e fuori la giurisdizione, è loro funzione peculiare.

Così come la capacità della giurisprudenza di adattare la norma al caso in esame aderendo al sentire della comunità, sfugge alla logica meccanicistica che rinnega a priori quella capacità di interpretazione.

La civiltà di ogni paese continuerà a misurarsi in base al grado di difesa e di garanzia dei diritti fondamentali, al contempo misura della democrazia e della pace sociale.

Ma anche fuori dal processo, l’assistenza dei giuristi a privati, famiglie e imprese è insostituibile, anche dall’I.A.: basti pensare alla circolazione dei beni e dei dati e ai diritti delle persone.

La tutela dei diritti della persona e delle situazioni giuridiche soggettive devono e dovranno essere assicurate anche quando saranno le I.A. a gestire le richieste di beni, servizi e prestazioni, attraverso l’utilizzo di piattaforme telematiche e di procedure digitali.

La giurisprudenza amministrativa ha già affermato i principi che devono essere assicurati quando si utilizzano strumenti informatici:

  • conoscibilità
  • comprensibilità
  • non esclusività della decisione algoritmica (previsto il contributo umano al processo decisionale)
  • tutela dei dati personali
  • divieto di discriminazioni

Di certo sarà necessario apprestare un nuovo sistema di interlocuzione con la macchina che ragionerà applicando la logica dell’ingranaggio che ignora la multiforme capacità di scelta umana.

Infine, l’apporto dell’Avvocatura resta necessario per la promozione dei diritti e del diritto, la riduzione delle diseguaglianze e la lotta alle discriminazioni.

L’Avvocatura deve svolgere il proprio ruolo sociale, non solo al suo interno, ma anche all’esterno, nell’interpretare le norme e divulgarle nel rispetto dei principi di dignità umana, solidarietà e uguaglianza che le fonti sovranazionali ci impongono.
Uguaglianza implica pari dignità e pari opportunità, senza la rimozione delle diversità, per la pace sociale di ogni società.

Credits: Ai-Da, Robot artist’s self portrait, 2019

Di Anna Losurdo, su Ora Legale News

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