Riforme, l'isola che non c'è

Riforme, l’isola che non c’è

di Anna Losurdo

Il riformismo processuale sembra aver fallito anche questa volta.

Con una pervicacia degna dei peggiori masochisti, il legislatore, con la riforma Cartabia, è intervenuto in tutti i processi con modifiche strutturali.

Come ben sanno avvocati e magistrati, sempre sentiti durante la gestazione degli interventi riformatori, ma mai sufficientemente ascoltati, gli interventi sulle norme processuali non servono all’obiettivo che, ormai da decenni, il legislatore persegue invano.
Al contrario, il necessario assestamento degli uffici e, da che esiste, del sistema telematico, impatta inizialmente rallentando tutto e provocando inevitabili ulteriori ritardi: eterogenesi dei fini.

L’erronea prospettiva di operare bene, che assilla il legislatore da quando abbiamo acquisito che l’efficienza del servizio giustizia” (sic!) orienta le scelte di investitori e partner commerciali stranieri, ha mosso e giustificato tutti gli interventi riformatori degli ultimi decenni.

Seconda stella a destra, questo è il cammino
E poi dritto fino al mattino
Poi la strada la trovi da te
Porta all’isola che non c’è

Edoardo Bennato, L’isola che non c’è

Il risultato è sotto gli occhi di tutti

Ai magistrati e agli avvocati si chiede di operare bene, ossia in modo funzionale all’apparato. La stessa finalità della giurisdizione sembra aver ceduto il passo alla modalità (in termini di efficienza e funzionalità) con la quale viene svolta.
Ne consegue che la stessa finalità del nostro lavoro (cosa fanno gli avvocati? qual è il loro ruolo? a cosa servono?) finisca con l’assumere un ruolo secondario rispetto al modo in cui lo facciamo.

Nella società governata dalla tecnica non è decisivo cosa fai bensì come lo fai. E tutto questo sta avendo effetti a cascata ormai fuori controllo.
Cosicché dalla sinteticità degli atti (obiettivo per certi versi anche encomiabile) si giunge persino al vincolo sul tipo di carattere da adoperare nella redazione degli atti processuali…
Da qui alla prossima probabile compilazione di moduli leggibili dalla intelligenza artificiale non manca molto. A quel punto la responsabilità della decisione delle controversie non sarà più ascrivibile agli umani. E si sarà compiuto l’intero processo di deresponsabilizzazione dei funzionari nella società della tecnica.

Le trasformazioni in atto nella società di certo non suggeriscono atteggiamenti nostalgici con lo sguardo rivolto al passato. La retrotopia non è mai un buon approccio.
Nulla è immutabile e neanche la nostra professione lo è. Non è certo arroccandoci su ciò che siamo stati che riusciremo a salvaguardarla per il futuro.

Ciò da cui non possiamo prescindere, però, è la consapevolezza.

Non possiamo trasformarci in operatori inconsapevoli.
Tutte le modifiche in corso sono orientate a comprimere il contraddittorio, a ridurre lo spazio del confronto tra le parti e tra le parti e il giudice, a incrementare le cause di inammissibilità e di improcedibilità. Il ruolo del difensore è svilito così come quello del giudice, ridotto a burocrate controllore della regolarità del procedimento.
E i diritti, nel frattempo, sono degradati a meri interessi, che necessitano una decisione rapida, purchessia.

Se tutto ciò non è, ancora, negazione della giurisdizione, ci siamo molto vicini.

E tutto questo ha a che fare con la democrazia, ossia con la tenuta dei principi fondamentali; il diritto di difesa, innanzitutto.
La azione politica dell’avvocatura deve essere orientata a questo, scevra da ogni sterile conservatorismo ma decisa a respingere al mittente (decisore politico e legislatore) la riscrittura dell’assetto costituzionale nel quale operiamo.

Credits: Anna Losurdo con Nigthcafè A.I. art generator

Di Anna Losurdo, su Ora Legale News

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