Distrofia sintattica
di Massimo Corrado Di Florio
Abbiamo immaginato parole per descrivere il mondo e per sostituirlo
Fleur Jaeggy
I giuristi in generale adorano la complicazione e lo fanno (quasi tutti) attraverso l’uso di una prosa per lo più destinata ad essere compresa da coloro i quali appartengono o reputano di appartenere alla medesima categoria. Una specie di dinastia dogmatica che si autocelebra attraverso dei veri e propri atti di fede.
Credo che ci si muova all’interno di uno snodo obbligato in cui autoreferenzialità e condizionamento vicendevole la fanno da padroni.
Il tratto comune di questo snodo è per l’appunto il linguaggio e quello giuridico in particolare. Insomma tutto ciò che afferisce a un sistema di comunicazione che mano a mano (forse solo apparentemente) si chiude in se stesso per formarne uno tecnico accessibile a pochi.
Dal linguaggio comune a quello giuridico il passo è dunque breve per chi, come noi, gravita attorno a questo mondo fatto di tecnicismi, latinismi, sintesi a volte eccessive.
Ora, approfittando del fatto che stiamo vivendo un momento storico in cui le nuove spinte riformiste ci stanno affannando un po’ tutti, è anche opportuno ricordare che, massimamente nel sistema processual civilistico, il rapporto tra forma orale e forma scritta vada sempre più riducendosi al nulla. Mi spiego: si è passati dal principio di oralità (di memoria chiovendiana) a quello della forma scritta sempre più invasiva.
Personalmente, preferisco la forma scritta a quella orale, in considerazione del fatto che la relazione tra forza del persuadere e forza del convincere tende (anzi, deve tendere) sempre più verso la accentuazione della seconda. Probabilmente, attraverso la prima, secondo quanto mi viene riferito da amici penalisti, si realizza più compiutamente anche la seconda. Tuttavia, ritengo di dover attribuire alla capacità di convincere una valenza razionale che la prima forse non possiede o forse la possiede solo in parte.
La irrisolvibile lotta tra i testi normativi con quelli interpretativi e senza tralasciare quelli applicativi è destinata a restare tale; irrisolta, cioè. Un nodo gordiano che nulla fa per auto-sciogliersi. Comprensibile, in fin dei conti. Sarebbe come dire: abbiamo sconfitto il dogma.
D’altra parte, per quanto si cerchi di avvicinare il linguaggio tecnico a quello non tecnico, è proprio la estrema tecnicalità che rende impossibile ogni forma di avvicinamento. Con qualche sforzo maggiore, tuttavia, si potrebbe iniziare a sfoltire arcaiche anticaglie ammuffite per evitare di incunearsi negli arzigogoli tanto amati da parte di chi distorce la comunicazione.
Il c.d. garbuglio compositivo è l’emblema della volontà di non farsi capire. Non dobbiamo andare poi troppo lontano se già dal 2002 il nostro governo ha pensato bene di “suggerire” ai nostri amministratori di adoperare un linguaggio più facilmente comprensibile dagli amministrati.
Il Progetto per la semplificazione del linguaggio amministrativo, voluto dal DIPARTIMENTO DELLA FUNZIONE PUBBLICA, era infatti destinato ad incrementare l’efficienza delle amministrazioni.
Il testo, approvato l’8 maggio del 2002, è stato poi riprodotto in epoca recentissima. Qui si può trovare un vero e proprio decalogo su come scrivere un testo. Secondo il Dipartimento occorrerà tenere conto di:
a) L’evidenza delle finalità e dei contenuti;
b) L’identificazione dei destinatari;
c) La leggibilità (fondata sul lessico e sulla sintassi).
Il governo, offre anche significativi esempi: invece di “provvedimento esecutivo di rilascio”, “sfratto”; invece di “obliterare”, “annullare” o “timbrare”; invece di “condizione ostativa”, “impedimento”.
E ancora. Invece di: “Qualora la data di scadenza coincidesse con un giorno festivo, i termini di presentazione delle domande verrebbero prorogati al primo giorno successivo”. Meglio: “Se la data di scadenza coincide con un giorno festivo, le domande potranno essere presentate il giorno dopo”. https://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/08-05-2002/direttiva-semplificazione-linguaggio
Come sostiene, e a ragione, Roberta Colonna Dahlman in un suo intervento dal titolo “Specialità del linguaggio giuridico italiano“, “quanto alla necessità di una lingua giuridica speciale rispetto a quella comune, due considerazioni altrettanto condivisibili sogliono contrapporsi: da un lato quella che invoca il sacrosanto diritto dei cittadini alla comprensibilità dei testi giuridici, che in verità riguardano una fetta importante della vita sociale; dall’altro lato, quella che sottolinea come sia la innegabile complessità della materia giuridica a richiederne opportunamente la specializzazione linguistica“.
Le parole non devono essere ingannatrici.
Credits: Varian Digital da Pixabay
Di Massimo Corrado Di Florio, su Ora Legale News
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