Le spose di BB

Le spose di BB

Cronaca dall’interno di un laboratorio per soli uomini

di Piero Buscicchio (Psicologo e psicoterapeuta in Bari – Uomini in Gioco/Maschile plurale)

Conversano, 9 novembre 2022

La politica che ha fallito, o comunque una politica fallimentare, incide sull’emozione: crea disastri enormi, periferie buie, povertà e povertà culturale”, diceva Paola Leone in un’intervista (TeatroeCritica,21.03.2021).

Da questo fallimento forse, così come dall’incoercibile voglia di guardare dove non si deve (e qui naturalmente viene già evocato Barbablù), nasce l’idea e l’impegno per un teatro emotivo, un teatro dove si impara a “fallire meglio”; la compagnia non può che chiamarsi “Io ci provo“, a indicare che di tentativo si tratta.

Non si puo’ non avere a che fare con il fallimento, del resto, se si vuole proporre un teatro che magari si crea in carcere, magari affrontando il doloroso tema della violenza e del femminicidio, magari volendolo affrontare proprio “ingaggiando” uomini, siano essi liberi professionisti, attori o aspiranti tali, detenuti, ex tossicodipendenti, e così via.

Le spose di BB, laboratorio teatrale per soli uomini (ma la regista è una donna), è una potente provocazione, un antidoto alla caduta dell’empatia e al machismo normotico che ancora affligge istituzioni, gruppi, famiglie e individui.
Prestare il proprio corpo e la propria psiche di uomo a una donna che non c’è più, e non c’è più perché una mano di uomo non ha sopportato la “disubbidienza” (e qui il riferimento alla fiaba); questa è in essenza la proposta indecente di Paola Leone.

Nel mio racconto dall’interno, quale partecipante al laboratorio e alla rappresentazione, tenutasi a Conversano come evento conclusivo di un progetto sulla decostruzione degli stereotipi di genere, posso testimoniare la verità dell’affermazione della regista, quando dice che il teatro (un certo teatro), può attivare processi di cambiamento nella realtà viva dei partecipanti e che a volte, permettendosi di osservare le cose da una prospettiva diversa dalla solita, anche solo per un momento, può cambiare per sempre il tuo modo di vedere le cose.

Tutto nasce dal fallimento in questo laboratorio, ma tutto sfida il fallimento, a partire dall’impresa di coinvolgere uomini, per sei giorni di seguito (e il settimo in scena), in un modo che a me ha evocato l’Aldo Capitini della compresenza dei vivi e dei morti.

Del resto il fallimento è forse la cifra del teatro emotivo di Paola Leone, fin da quando, nei laboratori in carcere, magari dopo giorni di prove, un’ora prima di andare in scena, apprendeva che un attore non era più disponibile, magari in preda ad una sorta di stage fright o invece semplicemente perché trasferito in altro istituto.

Anche nel laboratorio tenutosi a Conversano (dove fu Conte Giangirolamo Acquaviva D’Aragona ), l’indecente intimità (Paola Leone dixit) del teatro (di certo teatro), ha affrontato e sfidato la vergogna, la caduta dell’empatia, il machismo normotico, il covid e altre insidie, per riuscire a proporre la voglia di rappresentazione (e in questo termine, almeno per un momento, coniugo il teatro alla psicologia).

Anche nel nostro laboratorio il fallimento è stato costante compagno di viaggio, con alcuni di noi in bilico fino all’ultimo momento, tra l’andare e non andare in scena (una sorta di variazione sull’essere-non essere), tra il mettersi una gonna e prendere le parole da una donna uccisa e rischiare di non ricordare quelle stesse dieci parole, perché l’indicibile parole non ha.

Interessante, tra tutte, l’oscillazione di un partecipante e la proclamata minaccia di non andare in scena, rientrata con molta fatica pochi istanti prima della rappresentazione, solo quando lo stesso partecipante ha ricordato un’analoga situazione del passato, e non ha voluto reiterare un fallimento (Try again. Fail again. Fail better).

Per quanto mi riguarda, da buon conduttore di psicodramma, nel mio elemento non considero il fallimento con ansia (In psicodramma il fallimento della rappresentazione è la norma e da esso nasce il gioco terapeutico), ma se devo andare in scena (pochissime volte mi capita, fortunatamente per tutti), si tratti pure di teatro emotivo, tutto diventa diverso, tutto deve essere restituito ad un pubblico (che nello psicodramma/psicoplay non esiste), perciò deve essere restituito decentemente.

Ci si accorge allora, dall’interno, da attore, della potenza degli stereotipi (soprattutto dei meno evidenti), di quanto pervadono la nostra psiche maschile, di quanto sia tracciata la continuità tra stereotipi e violenza, di quanto sia necessaria una educazione all’empatia (e io aggiungerei , da psicoterapeuta, alla mentalizzazione), che coinvolga sopratutto gli uomini.

Allora il progetto sogno di Paola Leone (fare il laboratorio di Barbablù con la nazionale italiana di calcio, magari in Piazza di Spagna), merita davvero di essere preso in considerazione(…fail better…).

Credits: ph. Anna Losurdo, 2022

Di Piero Buscicchio, su Ora Legale News

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