
Ogni pietra parla d’amore
di Tiziana Nuzzo (Avvocata in Bari)
Bari Vecchia. Una sera d’inverno come tante altre, o forse no.
Intrecci scivolosi di vicoli su cui pendono balconi multicolore, dai panni appesi comprendi tante cose. Anche dalle immagini sacre dipinte sui muri, da quelle statuette con manti d’oro e d’argento riposte nelle opache teche di vetro con sotto lumini ben disposti, dalla luce tremula e giallognola.
Fiori rossi di plastica e carta, fiori veri, non c’è differenza.
Una caramella, un pupazzetto. Ognuno lascia ciò che può. Una preghiera, uno sguardo, un ricordo.
Qui più che mai – lo si avverte – ce n’è bisogno.
Qui, dove puoi parlare davvero con tutti, dove un sorriso o un bicchiere di vino non si nega a nessuno, dove la gente vive per strada, spesso sul ciglio della propria abitazione, con la birra in mano e le orecchiette stese sul panno bianco ad asciugare. Dove le porte restano aperte, con un’unica tendina di pizzo leggero e sottile a separarti dalla tavola apparecchiata o dal letto matrimoniale vestito perennemente a festa.
Due passi, uno sguardo, una semplice domanda e nasce una conversazione.
E perfino chi è seduto sulla sedia di paglia e legno in bilico sul marciapiede, intento a fitte e indecifrabili conversazioni, ti invita ad entrare.
“Prego, venga, un caffè?”
Lo conoscono tutti Pinuccio Fazio, marito di Lella e padre di Michele, strappato prematuramente alla vita nel 2001, nel budello più cieco di uno tra i tanti vicoli della Città Vecchia.
Una sparatoria tra clan, un proiettile vagante e poi il buio. Eterno. Michele non c’è più.
Tornava dal lavoro, 16 anni e una vita davanti, una famiglia che lo attendeva, un futuro da costruire, la spensieratezza, la freschezza e l’innocenza della gioventù dipinta sul viso.
È un attimo.
Gli spari, le grida, la paura, la morte, il dolore sordo, il vuoto.
Il silenzio l’angoscia l’attesa le notti insonni.
I giorni tutti uguali, senza fine.
I Carabinieri, i magistrati, i giornalisti, la gente comune. Tanta, a fiotti.
Le porte chiuse, le indagini, l’archiviazione, il processo, la condanna.
Nel mezzo, i silenzi.
L’omertà, antico e corazzato spettro, insidioso come un’ombra. Nero, come la morte.
E quella voglia disperata di andar via, lontano, col figlio nel cuore.
Una storia di lacrime e sangue, come tante altre, o forse no.
Strada Zeuli, ci sono quasi, “Associazione Culturale Michele Fazio”. Una piccola porta, una scritta impressa sullo stipite.
Qui i bambini del borgo antico vengono seguiti gratuitamente nel doposcuola, qui sorridono disegnano colorano dipingono. Sognano. Esprimono le proprie emozioni, simpatizzano con l’arte e con la creatività. Qui imparano quello che la strada non può insegnare. Imparano ad essere diversi, migliori. Ad amare il prossimo e la vita, a dare e a sperare. A desiderare la penna o un libro in mano, non il coltello o la pistola. A voler riempire i fogli coi propri pensieri e non i vicoli con gli sfreccianti, sfacciati motorini.
“Ti voglio bene Pinuccio”, “Grazie Pinuccio”.
Su quel foglio a quadretti c’è proprio la sua faccia, una corona sulla testa e un sorriso grande, da lobo a lobo.
Pinuccio, che ha messo a disposizione dei bambini e delle famiglie i suoi locali alla strada, che nello spazio attiguo a quello destinato al doposcuola fa realizzare ed ospita un presepe perenne, enorme, in cartapesta, bellissimo come solo ciò che è artigianale e che è fatto col cuore sa essere.
Un presepe insolito, che non narra la sola natività, fatto da tutti per tutti.
“C’è anche il fidanzamento di Giuseppe e Maria, le storie d’amore vanno raccontate per intero”.
Saggio Pinuccio.
Ogni passo che compio, capisco un po’ di più di quest’uomo che non smette mai di sorridere, mentre racconta la propria storia. È un fiume in piena, travolge tutto, ha imparato a farlo, con Lella, negli anni. Sparsi sulle mensole i quadretti di San Nicola, realizzati dai bambini con la tecnica del décapage.
“Li dovresti vedere quando sono al lavoro, trillano felici e fieri”.
Pinuccio, un po’ il padre di tutti loro, bambini spesso con famiglie problematiche alle spalle, qualcuno probabilmente con un genitore in carcere o ai domiciliari. Bambini che tornano a sorridere, che imparano a pensare e a creare, bambini strappati alla strada con le unghie e con i denti.
Perché la strada qua a Bari Vecchia, quella sconnessa e umida oltre Corso Vittorio Emanuele, non conosce solo rose, santi e fiori.
Mi guardo intorno, ogni pietra di questi muri parla d’amore.
“Tiziana, io e Lella non ci siamo arresi mai. Troppo facile andar via, siamo restati. Abbiamo voluto farlo. Abbiamo lottato, parlato, urlato, preteso, lavorato. Sodo, per noi e per gli altri. Per i più piccoli, con l’aiuto di tutti, perché è da qui che bisogna partire, e devi farlo per tempo. Dopo, sarebbe troppo tardi.”.
Alzo gli occhi, Michele sembra guardarmi dall’alto della sua fotografia tra muro e soffitto.
“Ti assomiglia”, dico a Pinuccio.
“Tutte le tragedie si assomigliano, noi vogliamo solo che non vengano dimenticate e che non si ripetano più”. Pinuccio e Lella, persone umili, speciali, genitori coraggiosi, generosi.
La Bari che uccide, la Bari omertosa, senza speranza?
A colpi di piccone è venuta giù, non ce l’ha fatta. Non stavolta.
Di Tiziana Nuzzo, su Ora Legale News
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