
Sulle donne in magistratura
di Carla Marina Lendaro (Carla Marina Lendaro – Presidente di A.D.M.I. Associazione Donne Magistrato Italiane) *
29.01.1947 – Dai lavori preparatori in sede di Assemblea Costituente: “…La donna deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche. Questa è la mia opinione, le donne devono stare a casa…”“…Già nel diritto romano… la donna, in determinati periodi della sua vita, non ha la piena capacità di lavoro…” (On. Molè, seduta del 20.9.1946). “…Dove si deve arrivare alla rarefazione del tecnicismo è da ritenere che solo gli uomini possono mantenere quell’equilibrio di preparazione che più corrisponde per tradizione a queste funzioni…”( On. Leone, seduta del 31.1.1947).
Eppure proprio l’Assemblea Costituente ha segnato la svolta per la presenza delle donne nelle istituzioni. A seguito del suffragio esteso al “genere femminile” dal referendum istituzionale del 1946 furono elette all’Assemblea Costituente 21 donne su 556 componenti: un piccolo ma combattivo gruppo di “madri costituenti”, fra cui Teresa Mattei, Maria Federici, Angela Merlin, Nilde Iotti, Gisella Forlanini, le quali diedero incisivo contributo ai lavori con la stesura di norme che tuttora costituiscono principi cardine del nostro ordinamento.
Ad Angela Merlin è, ad esempio, dovuta l’introduzione, nel principio di eguaglianza “formale” declinato dall’art. 3 della Costituzione, dell’inciso “senza distinzioni di sesso”. A Teresa Mattei si deve l’aggiunta, al comma secondo dell’art. 3 della Costituzione, in punto di eguaglianza “sostanziale”, del richiamo alle limitazioni “di fatto” che sono di ostacolo alla concreta attuazione del suddetto principio.
In tema di accesso ai pubblici uffici, si deve sempre ad una donna, Maria Federici, l’incipit dell’art. 51 Costituzione e l’esplicitazione del principio dell’ammissione di “tutti” i cittadini “senza distinzione di sesso”. Quindici anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, grazie alla battaglia giudiziaria di Rosanna Oliva (cui era stato negata la possibilità di divenire Prefetto “perché donna”) la Corte Costituzionale dichiarò incostituzionale l’antica legge del 1919, che precludeva l’accesso alle donne alle carriere che implicassero “…l’esercizio dei diritti e delle potestà politiche”, e successivamente vi fu la loro ammissione al concorso in Magistratura (legge 9 febbraio 1963 n. 66).
Sono da allora passati sessanta anni.
Oggi nel 2020 la Magistratura è composta per il 54% da donne, che in ogni ambito esercitano con professionalità la loro funzione.
Pensavamo fossero stati superati gli stereotipi di genere secondo cui le donne “non sono capaci di essere giudici” e che fosse ormai giunto il tempo per il definitivo abbattimento all’interno della magistratura del “soffitto di cristallo” che rende tanto difficoltoso l’accesso a posizioni dirigenziali “in maniera paritaria”.
Con forte indignazione abbiamo appreso della riproposizione da parte di un docente di una pubblica università dello Stato italiano di concetti antistorici secondo cui: ”…non possono esserci giudici donne perché giudicare significa essere imparziali, mentre le donne sono emotivamente più sensibili degli uomini e il loro processo decisionale è condizionato, anche se incoscientemente dall’emotività” (con numerose slides, a corredo).
Affermazioni che offendono non solo la dignità delle donne magistrato, ma la dignità della Magistratura nel suo complesso, riproponendo una visione sessista e fortemente discriminatoria della funzione giurisdizionale, sideralmente lontana dai principi della nostra Costituzione.
Affermazioni contrarie al buon senso che riteniamo non vadano minimizzate, non solo perché provenienti da chi dovrebbe trasmettere conoscenza e non già pregiudizi, ma soprattutto perché sono la spia di un più generale tentativo di arretramento della cultura dei diritti e del rispetto delle differenze, contro cui la magistratura per prima ha il dovere di vigilare.
La presenza delle donne in magistratura, così come in ogni settore della vita lavorativa e sociale, ha colmato un sapere incompleto che declinava da secoli un’unica storia, quella della discriminazione e della prepotenza travestita da “legge di natura”. E’ stata una presenza coraggiosa che ha richiesto sacrificio ed impegno ed è stata una presenza preziosa per una più compiuta democrazia, cui va dato rispetto.
Un rispetto dovuto, che pretendiamo.
*Redatto in collaborazione con le socie Roberta D’Onofrio, Tiziana Orrù e Gabriella Reillo
Image credit: RBG-Dissent-Collar
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