Degrado del diritto penale
di Andrea Casto (Avvocato in Bari)
Un noto magistrato calabrese, rispondendo alla domanda dell’intervistatore che gli chiedeva un commento sulla c.d. riforma Cartabia, ha recentemente risposto, in modo lapidario e senza esitazioni, che il Legislatore dovrebbe intervenire con un unico articolo di legge del seguente tenore: la riforma Cartabia è abolita!
Pur condividendo le motivazioni (per lo più riferite alle novità introdotte in tema di prescrizione del reato e di termini di durata delle indagini preliminari) che l’Alto Magistrato poneva a fondamento della sua affermazione, personalmente tenderei a essere meno caustico perché riconosco che la riforma Cartabia, nelle materie penalistiche, si è quanto meno sforzata di, opportunamente, codificare delle prassi ormai invalse nelle aule di Tribunale.
Per esempio si è normativizzata la udienza filtro ed, allo stesso modo, è stata prevista ex lege la “calendarizzazione delle attività istruttorie”.
Con ciò – e questo mi pare l’unico sforzo commendevole della riforma in esame – garantendo una migliore organizzazione delle udienze e un maggior rispetto dei testimoni che, in passato, erano costretti a subire ripetute citazioni a comparire per la escussione in dibattimento e a tollerare estenuanti attese per poi, magari, essere congedati dal Giudice per sopravvenuta inutilità del loro esame.
Va subito detto che la riforma del sistema processuale penale è finalizzata alla riduzione dei tempi di trattazione dei procedimenti penali in linea con gli impegni assunti dall’Italia in relazione al PNRR.
L’obiettivo è certamente nobile ma si ha tanto l’impressione che le modalità selezionate per raggiungerlo rasentino il grottesco.
Si pensi in particolar modo all’ampliamento del regime di procedibilità a querela di parte per una vasta gamma di reati che ontologicamente sono offensivi dell’intera collettività (tra tutti il delitto di furto).
Quel che più sorprende è la tendenza a spostare la trattazione della vicenda di rilevanza penale dall’accertamento giudiziale nell’ambito di un tradizionale processo, verso una catechizzazione del reo attraverso messa alla prova, lavori di pubblica utilità, giustizia riparativa, misure sostitutive e chi più ne ha più ne metta.
Quella tendenza (tanto cara a certa parte della Avvocatura) ad allontanarsi da una visione carcerocentrica del diritto penale per privilegiare una concezione emendativa piuttosto che punitiva del diritto penale, ha trovato una formidabile sponda nella riforma Cartabia, che ha elaborato una serie di istituti sostanziali e processuali che di fatto mirano a decongestionare i processi penali e quindi a ridurre drasticamente gli effetti sanzionatori tipici, attribuendo piuttosto maggiori poteri e incombenze allo UEPE (Ufficio di esecuzione penale esterna) e ai servizi sociali territoriali.
Altra peculiarità della riforma Cartabia che merita menzione è la esclusività del processo telematico; ma anche la sostanziale regola della non partecipazione del difensore nei giudizi di impugnazione oltrechè più stringate normative limitative del diritto alla impugnazione (il tanto criticato articolo 581 c.p.p. nuovo conio ne è un esempio emblematico).
Che dei correttivi per migliorare la organizzazione dei processi fossero ormai inderogabili è fuor di dubbio e dunque ben venga un sistema di elezione di domicilio che agevoli le notificazioni, così come un sistema processuale meglio cadenzato e rispettoso del tempo di tutti i protagonisti del processo.
Ma mi sia consentito dissentire energicamente da questo eccesso di depenalizzazione formale e sostanziale (ci si riferisce al summentovato ampliamento dei reati procedibili a querela di parte) perché questa non è la soluzione del problema ma una resa mascherata dello Stato.
Un reato di furto, al pari di un reato di violenza privata o di sequestro di persona, è un reato che suscita riprovevolezza in tutti i consociati e dunque è inaccettabile che l’esercizio della azione penale per questi gravi delitti sia subordinato ad un diritto potestativo della persona offesa.
Per altro verso il diritto penale rappresenta la necessità di sublimare l’illecito a un rango superiore non potendo trovare adeguata reazione punitiva nel diritto civile o amministrativo; talchè la prospettiva sanzionatoria deve essere quella di una “pena” degna di questo nome.
La pena, dunque, deve (e non può non essere) preliminarmente e ontologicamente afflittiva giacchè la principale missione della stessa è e non può non essere una punizione per la scelta consapevole e volontaria del reo di infrangere determinate norme dell’ordinamento giuridico poste a presidio della sicurezza sociale; ma, ancor prima, quella di realizzare un effetto general preventivo, dovendosi saggiamente coniugare il favor libertatis con il favor societatis.
Resta inteso che, in linea con quanto predicato dall’art. 27 della Costituzione, la pena debba tendere alla rieducazione del condannato.
Prima, però, di tendere alla emenda del reo, la pena deve essere sanzione e monito.
In questo senso la riforma Cartabia rappresenta una pericolosa deriva del sistema (invero già da lungo tempo avviata con la introduzione del giudice di pace prima e con la deprecabile depenalizzazione di reati, di pensi alla ingiuria e al danneggiamento, che giammai avrebbero dovuto subire la espunzione dal diritto penale) che potrebbe degradare il diritto penale a un livello non dissimile dal diritto civile e amministrativo, con neutralizzazione degli effetti di prevenzione generale e con clamorosa e paradossale polverizzazione dell’obbiettivo di rieducazione del reo.
Rispetto a questi rischi diventano davvero risibili le doglianze della Avvocatura penalistica recentemente espresse in relazione all’articolo 581 c.p.p. e, tutto sommato, persino quella denunciata da certa parte della magistratura relativamente alla concreta difficoltà di evitare la prescrizione dei reati.
Ciò che temo maggiormente da cittadino, ancor prima che da giurista, è proprio lo svilimento del diritto penale, la tendenza allo snaturamento di quella extrema ratio che doveva connotare il diritto penale, con il suo ontologico apparato sanzionatorio robusto e necessariamente afflittivo, in ossequio al noto brocardo latino: nullum crimen sine poena.
Credits: Michael Gaida da Pixabay
Di Andrea Casto, su Ora Legale News
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