
Il diritto alla bellezza
di Anna Losurdo
“L’eleganza è l’unica bellezza che non svanisce mai”
(Audrey Hepburn)
Ha un valore educativo, la bellezza?
Ha un effetto pedagogico?
Riesce a tenerci lontani dagli aspetti deteriori dell’esperienza umana?
È in grado di agire come antitodo al degrado, individuale e collettivo, della società umana?
Cambia la nostra vita se guardando fuori dalla finestra ci troviamo davanti una zona degradata o un meraviglioso panorama naturale o artistico?
E ancora: l’attitudine e l’abitudine al bello riescono a restituirci il senso di ciò che siamo, a prescindere da quanto siamo utili al sistema?
Esiste un diritto alla bellezza?
La mia risposta a tutte queste domande è affermativa, senza tentennamenti.
Forse utopistica. O forse legata al vincolo antico tra bellezza e morale.
Si afferma che l’educazione sentimentale passi attraverso la lettura.
La bellezza dei modi e dei comportamenti è l’unico metodo che ci rimane per contrastare la volgarità che ci circonda.
La gentilezza, per esempio, è efficace per contrastare atteggiamenti violenti e offensivi. Il rispetto per le ragioni degli altri, tanto nel confronto privato quanto nel dibattito pubblico.
O la mentalità sociale (samfundssind), che ci spinge a mettere l’interesse della comunità al di sopra di quello individuale (il nostro, personalissimo, o quello di una parte), sarebbe di per sé idonea a recidere in radice ogni possibilità di abuso.
Quale bellezza, quindi?
Se è vero che essa rappresenta un presupposto per la realizzazione della persona, di certo il diritto alla bellezza non rientra nel novero dei diritti di natura patrimoniale e ha carattere universale, spetta a ciascuno e a tutte e a tutti.
Gli esempi paradigmatici più siginficativi sono l’ambiente e il patrimonio artistico, architettonico e culturale. Gli sfregi permanenti perpetuati colpiscono tutte le cittadine e tutti i cittadini, anche di domani.
Basti pensare alla nostra reazione di fronte a questi comportamenti che ledono, spesso in maniera irreparabile, lo sviluppo umano e la qualità della vita, per percepire la portata di quel diritto.
E veniamo, infine, alla tutela del diritto alla bellezza.
Che passa senza alcun dubbio dal ruolo pubblico della garanzia ma che trova nell’apporto di ciascuno il presupposto ineludibile che si fonda sulla consapevolezza di ciò che siamo, della nostra storia, del nostro territorio.
E ancora una volta ritorna, prepotente, la mentalità sociale, il senso di comunità, il nostro contrapposto al mio, per i benefici individuali e collettivi che tutti possono trarre dal riconoscimento effettivo, e non meramente formale, del diritto alla bellezza.
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