Il filo rosso della ricerca
di Raffaella Patimo (Docente di Economia del lavoro e Economia dell’integrazione europea – UniBA)
Alla fine del liceo mi sono ritrovata a scegliere la facoltà di Economia e Commercio a Bari non per esclusione, anzi, proprio perché non riuscivo ad escludere nessuna delle mie passioni: la curiosità di capire come funziona il mondo, l’interesse per le persone di ogni cultura e ogni Paese, il desiderio di poterle capire e poter comunicare con loro nelle loro lingue, l’auspicio di imparare dagli errori del passato per non commetterli più, l’interesse scientifico per i numeri e le relazioni logiche coniugati con la razionalità limitata degli esseri umani.
Ecco, a 18 anni non l’avrei scritta proprio così, ma ora posso interpretare in questo modo le molteplici curiosità che sentivo all’epoca e continuo tuttora a nutrire.
Resta il fatto che ora sono ricercatrice in Economia Politica e docente di Economia del lavoro e di Economia dell’integrazione europea al Dipartimento di Economia e Finanza della mia Alma Mater.
Anche questo non era prevedibile all’inizio del mio percorso di studi.
Anzi: i sogni giovanili facevano presagire aziende, società, multinazionali, organizzazioni internazionali ove fosse possibile mettere in pratica gli insegnamenti ottenuti negli anni di specializzazione post-laurea fatti sia all’estero (Master) che in Italia (Dottorato).
Tuttavia, la facilità e la passione con cui seguitavo a studiare si erano trasformati in altro: avevo scoperto che studiare poteva essere un lavoro e che le varie specializzazioni che avevo accumulato nel mio percorso potevano essere mescolate per formulare nuove domande di ricerca.
Poi sono arrivati l’amore, i tre figli, la famiglia.
E sono arrivati mentre i miei interessi di ricerca su temi inerenti il mercato del lavoro si ostinavano a capire cosa non andasse nel nostro Paese, in particolare per le donne del nostro Paese, sempre più preparate e sempre più assenti dal mercato.
Per dirla meglio: nonostante la crescita del numero delle donne attive e occupate, lo eravamo sempre molto meno degli uomini e molto meno delle donne degli altri Paesi che costituiscono l’Unione Europea.
Essere del Sud, avere tre figli, essere occupata a tempo indeterminato mi rendevano assolutamente non rappresentativa del campione di donne che mi interessavano.
In un Paese che, invecchiando sempre di più, veniva governato da uomini che non sapevano immaginare un cambio di passo per rendere possibile lo shift culturale che permettesse alle donne, in particolare a quelle giovani e a tutti i giovani, di prendere il posto meritato in un Paese democratico la cui economia era a servizio della società.
La bassa partecipazione alla vita attiva delle donne insieme alla bassa fecondità e ad altre dinamiche deboli del mercato del lavoro – come quelle salariali, produttive o di carriera individuale – sono così diventate il filo rosso delle mie ricerche, soprattutto nell’obiettivo di individuare un nuovo volano di sviluppo per i diversi territori regionali, ricchi di potenzialità inesplorate e di contraddizioni non ancora pronunciate ad alta voce.
Per molti anni ho avvertito addosso sguardi di sufficienza, come a voler sottolineare il particolare che mi occupassi di questi temi perché fossi una donna, del Sud, con tre figli… che tre figli ormai non li fa più nessuno.
Che ancora con le questioni di genere “ormai ci avete superato, basta!”.
Ma questa affermazione frettolosa nasconde una visione distorta della realtà, oltre che il rischio di veder nascondere la polvere sotto il tappeto per fare pulizia.
E invece, dopo quasi due decenni, non solo resto convinta che la scelta di occuparmi di questi temi derivi dal fatto di essere una economista, ma so anche che ora (ricordate: se non ora, quando?) è arrivato il tempo, non più prorogabile, di trovare un respiro comune e trasversale in ogni dimensione dell’agire economico, politico e sociale, di rivolgersi alle persone come professioniste, e non perché uomini e donne, alle famiglie come portatrici di capitale demografico futuro, e non alle mamme e ai papà, ai giovani come protagonisti del presente e non come protagonisti di un futuro incerto e problematico che abbiamo loro preparato.
Short bio:
Raffaella Patimo è ricercatrice e docente di Economia del lavoro e Economia dell’integrazione europea all’Università di Bari; ha conseguito la Laurea in economia e commercio e il Dottorato di ricerca in Economia della popolazione e dello sviluppo presso l’Università di Bari e, tra le altre, un Master in Studi economici europei presso il College of Europe. È stata Fulbright Distinguished Scholar presso l’Università di Pittsburgh, Pennsylvania, USA e Fellow presso il Centro Studi Europeo della stessa Università. È coordinatrice locale del Master Erasmus Mundus “Economics of Globalization and European Integration”. È stata visiting professor per molti anni in Albania e ha insegnato economia del lavoro e integrazione economica dell’UE in altri paesi europei (Repubblica Ceca e Polonia). I suoi principali interessi di ricerca riguardano temi del mercato del lavoro e dello sviluppo e questioni economiche dell’UE in una prospettiva di genere e di sostenibilità.
Image credits: Artsiom Horsky da Pixabay
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