Il problema relazionale
di Andrea Mazzeo (Psichiatra)
Ne ho parlato più diffusamente nel testo “I diritti personali della famiglia in crisi” a cura di Giuseppe Cassano e Giacomo Oberto, edito da Giuffrè.
I vari professionisti che sostengono il concetto di alienazione parentale confidavano nel riconoscimento dello stesso da parte della classificazione dei disturbi mentali DSM-5, pubblicata nel 2013.
Preso atto che non vi era stata ricompresa, hanno dato luogo a una massiccia campagna mediatica sostenendo che l’alienazione parentale era presente nel DSM-5 come problema relazionale.
Tralascio, per carità di patria, di analizzare le parole del leader internazionale della lobby dell’alienazione parentale, il Dr William Bernet, per il quale “anche se le parole non sono scritte nel DSM-5 nelle sua pagine c’è lo spirito dell’alienazione parentale” (Although the actual words “parental alienation” do not appear, the spirit of PA is strong and well represented in DSM-5).
Il problema relazionale, nello specifico quello genitore-figlio, è descritto nel DSM-5, nella sezione chiamata “Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”, con la seguente precisazione: «Le condizioni e i problemi elencati in questo capitolo non sono disturbi mentali.»
È di tutta evidenza, si tocca con mano, che il rifiuto del figlio verso la relazione con un genitore rappresenta un problema relazionale, mentre la relazione del figlio con l’altro genitore, quello che non viene rifiutato dal bambino, protettivo verso il bambino, non presenta alcun problema. Diviene quindi del tutto incomprensibile il fatto che, invece, dai CTU venga considerata problematica la relazione con il genitore protettivo verso il minore e non la relazione con il genitore rifiutato dal minore.
Il problema relazionale, se proprio si vuole seguire questa strada, esiste tra il genitore rifiutato e il bambino che lo rifiuta, ma non tra il genitore protettivo e il bambino che non rifiuta la relazione con quest’ultimo.
È priva di senso logico l’affermazione, che ho letto in alcune CTU, che il bambino rifiuta la relazione con un genitore perché ha un problema relazionale con l’altro genitore.
Logica vuole che una volta identificato un problema relazionale ci si chieda quali possano essere le cause, le motivazioni dello stesso.
Potrebbe essere in gioco una qualche forma di condizionamento psicologico da parte dell’altro genitore, ma questo va provato, va dimostrato, non è sufficiente dichiararlo.
Così come potrebbero essere in gioco altre cause, quali, per es., violenza in famiglia, diretta sul minore o assistita, abusi sessuali sul minore, ecc.
Come ci ricorda la Suprema Corte di Cassazione (Sent. 43786/10) «nella maggior parte dei casi un evento può trovare la sua causa, alternativamente, in diversi fattori. In tale frequente situazione le generalizzazioni che enunciano le diverse categorie di relazioni causali costituiscono solo delle ipotesi causali alternative. Emerge, così, che il problema dell’indagine causale è, nella maggior parte dei casi, quello della pluralità delle cause.»
Il parlar male dell’altro genitore, denigrarlo, deriderlo, ecc., non sono in grado di causare un problema relazionale del figlio con l’altro genitore. È molto più probabile che queste continue lamentele, ove ci siano, creino invece un problema relazionale del figlio proprio con il genitore che si lamenta, parla male dell’altro genitore, lo denigra, ecc.
Non è questa la strada per comprendere il motivo del rifiuto, ovvero del problema relazionale genitore-figlio; ciò che può allontanare un figlio da un genitore è proprio il comportamento di questo genitore verso il figlio stesso.
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