
La responsabilità delle istituzioni
di Giuseppe Artino Innaria (Giudice del Tribunale di Catania)
Nel linguaggio corrente, quando si accenna agli apparati statuali, si ha timidezza ad impiegare il vocabolo “Stato”, quasi che esso abbia connaturato in sé qualcosa di deprecabilmente autoritario, e lo stesso pudore si sperimenta nel preferire al termine “istituzioni” il più neutro “pubbliche amministrazioni” o “servizi pubblici” o meglio ancora il tranciante “burocrazia”, laddove se ne vogliano mettere in risalto gli intralci formali e le lentezze.
L’opzione in un senso o nell’altro non è priva di risvolti profondi, perché probabilmente tradisce una sottostante differente concezione del settore pubblico.
Parlare di P.A. o di burocrazia è spesso un modo per porre l’accento soprattutto sul lato efficientistico dell’azione statuale.
Per contro, a mio avviso, l’attaccamento all’idea di istituzione mette in gioco una visione ancorata allo sfondo di valori (soprattutto costituzionali), dei quali lo Stato dovrebbe essere incarnazione ed attuazione, ed evoca il carattere fondante e ordinatore delle strutture organizzative preposte alla tutela del bene comune.
In buona sostanza, le istituzioni non sono altro che la sintesi dei principi giuridici fondamentali dello Stato e gli stessi organismi politico-costituzionali che li esprimono.
Una visione delle istituzioni al passo con i tempi non può rimanere ancorata ad una dimensione esclusivamente morale, ma deve necessariamente proiettarsi in una ottica di risultati.
E allora, dov’è l’incrocio tra scopi e valori, tra prassi ed etica, nelle istituzioni?
Il primo grande intellettuale, che si è occupato di burocrazia in termini di modernità, è Max Weber, che proprio a proposito della macchina pubblica fece applicazione della idea di “razionalità strumentale”, ossia l’«agire razionale rispetto allo scopo».
Così scopriamo il primo raccordo tra l’agire pratico delle istituzioni ed il dover essere, agire che non è cieco ed indifferente ai valori, ma va orientato verso quei fini rintracciabili nella Carta Costituzionale, unica stella polare, che deve guidare la condotta dell’uomo pubblico.
Tuttavia, la vera radice della tenuta delle istituzioni è, sempre per rifarci a Weber, l’etica della responsabilità.
Non basta l’agire orientato verso uno scopo. Deve trattarsi pure di una condotta consapevole degli effetti causali, dei quali si deve rendere conto, rispondere, pena l’applicazione di sanzioni.
Il principio di responsabilità deve essere il cardine della vita delle istituzioni.
Spesso capita, nella quotidianità del mio lavoro, che un cittadino bussi alla mia porta lamentandosi delle lungaggini del processo. Ho un metodo abbastanza efficace per fargli sbollire la rabbia. Con calma gli spiego, citandogli le statistiche del mio lavoro, che io ce la metto tutta per accelerare i processi, ma che i tempi alla fine scontano le inefficienze del sistema. E allora concludo. Il tribunale è come l’ospedale. Non si deve attendere di averne bisogno per scoprire sulla propria pelle che non funziona. Occorre vigilare costantemente e preventivamente sulla gestione di istituzioni così importanti per la vita del cittadino. Solo così, quando si dovrà ricorrere alla giustizia o alla sanità, si troverà la risposta adeguata alle proprie necessità.
Ecco, il principio di responsabilità serve a questo.
Oggi, lo si traduce, per le pubbliche amministrazioni, con il concetto anglosassone di “accountability”.
Per rispondere è opportuno, innanzitutto, rendere conto.
Noi cittadini dovremmo pretendere dagli uomini delle istituzioni, da un presidente di un tribunale o da un direttore di ospedale, il bilancio sociale annuale, in cui dimostrare, anno per anno, dati alla mano, i risultati concreti raggiunti, raffrontandoli con gli obiettivi posti.
Il bilancio sociale non è un arido documento contabile-finanziario, è il rendiconto della responsabilità sociale di un ente pubblico. Ogni cittadino ha diritto di conoscere quale vantaggio o costo abbia l’azione pubblica sulla collettività. È strumento di democrazia partecipativa.
Il principio di responsabilità, però, per funzionare esige cittadinanza attiva, presuppone controllori attenti e propositivi 365 giorni l’anno, soggetti informati che non firmano deleghe in bianco.
Il contraltare della responsabilità è il controllo sociale, politico, giuridico, morale, provvisto di sanzioni adeguate.
Non esiste responsabilità senza sanzione. Come ha saggiamente notato Jacques Derrida, la responsabilità è inscindibile dalla imputabilità, ossia dalla chiara individuazione dell’individuo responsabile. Gli uomini delle istituzioni devono metterci la faccia nel rendere conto delle loro azioni. La distribuzione delle competenze non può essere caotica ma deve essere netta e precisa.
Responsabilità-cittadinanza attiva-controllo sociale-sanzione-imputabilità.
Chiudo con due pensieri.
Uno è mio.
Ai tempi del coronavirus, mi viene da dire che bisogna esigere ospedali efficienti in temi di pace per non stupirsi, tardi, del loro malfunzionamento in tempi di guerra. Non delegare. Essere sempre cittadini attivi.
Il secondo lo prendo a prestito dal grande teorico del principio di responsabilità, il filosofo tedesco Hans Jonas.
“Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana“.
Image credit: Quinn Kampschroer da Pixabay
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