Caro, carissimo Babbo Natale

Caro, carissimo Babbo Natale

Anche se sei un prodotto pubblicitario vestito di Rosso, ma in realtà sei l’universalmente noto San Nicola, dimmi perché quest’anno, quando osservo le luci intermittenti, riesco solo a cogliere l’intervallo buio.

Spento, acceso, spento, acceso. Resto concentrato sullo spento.

Sogno di essere arrivato al Natale, quel bellissimo vecchio Natale fatto di “spirito natalizio” così caro agli americani (quelli ricchi del nord), così tanto caro da vederlo immutato negli anni nei film-polpettoni di fine anno.

Mi libero dalle regole del Natale, è meglio.

Qui, in questo navigare senza regole, senza nessuna regola, si è finalmente liberi e persino l’agonia delle attese (una risposta che non arriva mai, una domanda che mai si porrà, un evento troppo a lungo desiderato, un insulto che si attende), quella vera, quella che ti logora lentamente, quella che ti seduce ed affascina (l’agonia affascina, sì), quella che ti spegne poco a poco, quella che ti rende inconsapevole della sua stessa presenza poiché è abilmente mimetica, qui, in questo sogno sognato, l’agonia si riduce ad un mero concetto astratto. Essa, semplicemente, non esiste, non più (probabilmente).

Come un Natale che in molti, forse in tanti, sognano e basta.

Sono fermo proprio come quelle colorate luci ad intermittenza ma nel momento in cui si spengono.

Sto così, un po’ per stanchezza, un po’ per prepararmi alle esplosioni di auguri a profusione; fermo ma non immobile. Mi fermo così perché tanto il tempo, che lo si voglia o no, che ci piaccia o meno, se ne fotte bellamente del nostro fermarci, oppure no.

Tanti cari auguri al tempo del Natale, illusorio anch’esso, visto che mi fa vivere in una potente ed enorme parentesi di eterna sospensione. Tuttavia, mi sento più soave così. Sono in una parentesi in cui possono realizzarsi e combinarsi enormi inutili cose. Come le luci che si accedono e poi si spengono.

Acceso, spento, acceso, spento e via andare.

Cosa direbbe il piccolo led che sta per accendersi e che vive con terrore l’attimo in cui si spegnerà? Forse direbbe che il futuro (quel suo piccolo insignificante futuro, direi) è stracolmo soltanto di ripetitivi istanti: acceso, spento, acceso, spento. Il suo “prima” e il suo “poi” son fatti così.

La vita che hanno scelto per me –direbbe il led– è all’interno di queste alterne parentesi buie e poi luminose.

Non vi piace il led? Vi piace di più un bambino che vive immerso, suo malgrado, in una guerra scelta -anche per lui- dagli adulti?

Caro, carissimo Babbo Natale, dimmi perché quest’anno, quando mi osservo, riesco solo a cogliere l’intervallo buio.

Spento, acceso, spento, acceso. Resto concentrato sullo spento, mi rimane la speranza della luce che prima o poi arriva.

Credits: Couleur da Pixabay

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