Non è questione di nome
di Andrea Mazzeo (Psichiatra)
Sul portale di informazione giuridica “FiloDiritto” è stato pubblicato, in data 11 settembre 2020, un documento dal titolo “Memorandum di 130 intellettuali, accademici e professionisti esperti in materia psicoforense”.
In questo documento si legge una definizione di problema relazionale che non corrisponde a quanto riportato in letteratura.
Vi si legge infatti: “Il DSM-5 definisce i problemi relazionali come modelli persistenti di sentimenti, comportamenti e percezioni che coinvolgono due o più partner in un importante rapporto interpersonale”.
Spiace per i firmatari di quel documento, ma questa definizione non è riportata nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quinta edizione (per brevità DSM-5).
Il DSM-5 tratta i problemi relazionali dalla pagina 831 alla pagina 833, nella sezione delle “Altre condizioni che possono essere oggetto di attenzione clinica”, quindi non tra i disturbi mentali che sono trattati nelle pagine precedenti.
Nel DSM-5 i problemi relazionali sono così definiti: “Le relazioni più importanti, specialmente relazioni intime tra partner adulti e relazioni genitore/caregiver-bambino, hanno un impatto significativo sulla salute degli individui in queste relazioni. Tali relazioni possono essere protettive e promotrici di salute, neutrali, oppure dannose per gli esiti della salute. All’eccesso, queste relazioni strette possono essere associate a maltrattamento o a trascuratezza, che hanno conseguenze significative a livello psicologico e medico per l’individuo coinvolto. Un problema può arrivare a presentarsi all’attenzione clinica sia come la ragione per la quale l’individuo richiede assistenza sanitaria oppure come un problema che influenza il decorso, la prognosi, oppure il trattamento del disturbo mentale oppure di un altro disturbo medico dell’individuo”.
Quale psichiatra ho ritenuto di dover precisare i termini della questione, del problema relazionale che è problema squisitamente tecnico, soprattutto alla luce della circostanza che nel memorandum citato la definizione fornita, oltre a essere inesatta, segue, nello stesso periodo, la frase: “È quindi sufficientemente acclarato che la PAS sia meglio definita come un disturbo del comportamento relazionale e non come una sindrome”.
Viene in questo modo a crearsi una facile associazione di idee tra il concetto di PAS, già ampiamente smentito dalla ricerca scientifica, e i problemi relazionali.
Come dire, non chiamiamola più PAS ma chiamiamola problema relazionale e la questione della non scientificità della PAS viene così risolta.
Come agevolmente si può vedere, nella definizione del problema relazionale il DSM-5 accenna a condizioni quali il maltrattamento e la trascuratezza, nelle relazioni interpersonali, ma non menziona affatto il presunto condizionamento della volontà del minore da parte di un genitore, che lo porterebbe a rifiutare la relazione con l’altro genitore.
Che si voglia far dire, a un testo scientifico, qualcosa che quel testo scientifico non menziona affatto è come pretendere, per esempio, di fare una lettura, come dire, solipsistica del codice penale sostenendo che sia un reato ciò che non vi è descritto come reato.
Image credit: Gerd Altmann da Pixabay
di Andrea Mazzeo su Ora Legale NEWS:
https://www.oralegalenews.it/attualita/junk-science/12456/2020/
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