Un processo attuale
di Aldo Luchi (Avvocato in Cagliari)
Uno degli aspetti sui quali si gioca la credibilità del nostro Paese in Europa è quello del miglioramento dell’efficienza del processo penale, al pari di quello civile, partendo dalla riduzione dei (lunghissimi) tempi oggi necessari per la definizione.
Stando agli ultimi rapporti di Eurojus, siamo agli ultimi posti appena sopra Cipro.
Dal raggiungimento di questo obiettivo nei tempi richiesti dalla Commissione Europea dipende anche l’erogazione dei fondi europei per il PNRR.
Il contemperamento di esigenze imposto dall’emergenza pandemica è stato, sotto questo aspetto, provvidenziale perché ha finalmente dato spinta e vigore all’innovazione telematica da sempre osteggiata dagli uffici giudiziari, in specie dalle Procure, che hanno considerato il fascicolo cartaceo un totem irrinunciabile e hanno sempre guardato all’informatizzazione con il sospetto tipico di chi non ne conosce i meandri e non ne comprende i confini.
Un atteggiamento identico è rinvenibile nella concezione (che si ritrova in una nutrita produzione giurisprudenziale) che la stessa magistratura ha dei malware come i trojan, definiti “captatori informatici”, che spesso vengono lasciati gestire a privati, ignorando o trascurando la capacità di questi malware di produrre effetti molto diversi da quelli di una microspia.
Lo stato attuale presenta molteplici problematiche, a partire dalla irragionevole frammentazione dei canali di trasmissione (il portale fino alla conclusione delle indagini preliminari, le PEC per le fasi successive), proseguendo con le irragionevoli limitazioni di banda e l’inconcepibile limitazione unidirezionale (il solo deposito degli atti).
Ma soprattutto emerge la totale impreparazione del personale amministrativo che dilata arbitrariamente i tempi di accettazione dei depositi e spesso non li accetta affatto.
Inoltre, viviamo quotidianamente la beffa rappresentata dal fatto che una società privata è in grado di consentire ai difensori di scaricare i verbali d’udienza, mentre il Ministero della Giustizia, che li crea e li detiene, non ha ancora approntato un mezzo idoneo per questo scopo.
Ma soprattutto, le interpretazioni formalistiche dettate dalla diffidenza verso il mezzo informatico e da regole tecniche irragionevoli stanno, nei fatti, creando ipotesi di inammissibilità e di decadenza non codificate.
È una fase di transizione che, si spera, verrà presto superata con l’adozione di software documentali diversi dal preistorico TIAP e con un’adeguata formazione, ma ancora una volta ciò che emerge è l’incapacità di abbandonare la concezione cartaceocentrica del fascicolo delle indagini e del fascicolo del dibattimento: insomma, il problema culturale di cui ho parlato sopra.
Ciò nonostante, la direzione intrapresa dal Ministero prima con la creazione del Portale di Deposito degli atti Penali e poi a seguito dei decreti attuativi della c.d. riforma Cartabia non pare revocabile.
Bisognerà soltanto attendere l’esito di questo processo di innovazione per comprendere se si sarà stati in grado di cogliere al meglio l’opportunità o se, per l’ennesima volta, ci si sarà accontentati del minimo indispensabile senza indirizzare lo sguardo verso i prossimi anni.
A questo processo innovativo l’avvocatura ha il dovere (e deve avere la lungimiranza) di fornire il proprio contributo di idee propositive, senza incorrere in facili autoreferenzialità o, peggio ancora, lasciarsi condizionare da uno sterile immobilismo conservatore.
Negare oggi un contributo di idee sulla informatizzazione e sull’utilizzo della c.d. intelligenza artificiale in ambito giudiziario significa unicamente rifiutarsi di partecipare a un processo innovativo ormai ineludibile e lasciare che gli altri attori della giurisdizione dettino le regole e i fissino i limiti operativi.
Fornire un contributo responsabile e di qualità significa, al contrario, contribuire alla creazione di un sistema il più possibile equo e rispettoso dei principi del giusto processo.
In questo alveo si inserisce anche la battaglia, oggi approdata anche in Parlamento grazie alla presentazione di diversi disegni di legge, per la piattaforma unica, ossia un unico canale di comunicazione per tutte le giurisdizioni, oggetto di diverse mozioni approvate nel corso dell’ultimo Congresso Nazionale di Lecce.
L’unicità degli applicativi, delle regole tecniche, della formazione dei fascicoli telematici, delle attestazioni di deposito e perfino degli eventuali costi di rilascio delle copie è, ad oggi, un risultato raggiungibile che dipende anche, e forse soprattutto, dal contributo che la classe forense saprà fornire al processo innovativo di cui parliamo.
A questo devono aggiungersi aspetti di civiltà e di rispetto reciproco come il diritto alla disconnessione e quello alla programmazione delle udienze e degli adempimenti.
L’efficienza dei sistemi, se saremo in grado di rappresentare correttamente le nostre istanze, dovrà consentire a tutti gli attori della giurisdizione di tornare a occuparsi (finalmente!) di diritto.
Credits: Joshua Woroniecki da Pixabay
Di Aldo Luchi, su Ora Legale NEWS
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