La scelta di Anna

La scelta di Anna

di Anna Frasca (Esperta statistica – componente comitato scientifico APS CREIS)

Anna è aggrovigliata nei suoi pensieri che le hanno rubato calma e lucidità; è lì sul marciapiede della piccola stazione del suo piccolo paesino di capitanata mentre aspetta il treno. Insieme ai suoi pensieri anche le emozioni si mescolano, galleggiando come in un mare in tempesta su rami di alberi strappati alla terra.
Un pensiero però affiora timido, si districa a fatica dal groviglio: “potrei scrivere una lettera al Capo dello Stato, direttamente al Presidente della Repubblica, a Sergio Mattarella. Potrà ascoltarmi?
Come un padre che si prende cura, un padre che non ha avuto, che non ha mai conosciuto.
Ma i pensieri ritornano a riaggrovigliarsi e le emozioni si colorano di blu scuro come nuvole prima di un temporale, quello che attraversa le sue giornate.

Ha deciso di abortire. Consapevolezza matura e decisione ponderata.

Nel suo paesino di capitanata e in tutta la provincia non ci sono strutture pubbliche ospedaliere per accogliere la sua richiesta di interruzione volontaria di gravidanza ed è costretta a rivolgersi al servizio IVG dell’unico Ospedale di tutta la regione che effettivamente opera per dare attuazione alla legge n. 194/78. Quanta lontananza tra quanto è scritto nella legge e la vita delle donne!

Penso ad Anna.
E penso che non potrà essere calma e lucida per scrivere una lettera al Presidente della Repubblica per raccontare la sua sofferenza, la sua ansia, la sua preoccupazione che aumentano con il passare dei giorni e che nulla hanno a che fare con la sua scelta.
La scelta è chiara dentro di sé, ma fuori, nel mondo in cui abita, Stato di diritto che dovrebbe tutelare la sua scelta, non c’è la stessa chiarezza. Altre scelte influenzano la sua. Rispondono alla gerarchia di poteri e allontanano dal sostegno e dall’ascolto.

E no! La calma non c’è; è merce rara, perché sa che l’interruzione volontaria di gravidanza è strettamente connessa al tempo.
Anna deve muoversi. Il tempo è urgenza.
Prende il treno, scende alla stazione centrale di Bari e poi l’autobus per l’Ospedale.

Arriva in un luogo dove si intrecciano umanità e competenza, fili di un telaio per tessere un tessuto che sorregge, cucendo spazio e tempo del suo mondo psicologico.
I suoi pensieri aggrovigliati cominciano a distendersi e così possono anche le sue emozioni.
Accade per la prima volta, dopo la “scelta”, che l’ha costretta a sentirsi dire tante volte che no! In quella struttura non si operano aborti perché ci sono obiettori di coscienza.
Coscienza, parola che non è stata mai leggera, perché gravata da un’altra: giudizio, giudizio dell’agire secondo il criterio di moralità, secondo proprie convinzioni etiche, morali o religiose. Obiettore di coscienza. Knock! Come un pugno che rifiuta, libertà che rifiuta.

Qui, invece, ci sono anche non obiettori e la sua legittima scelta è riconosciuta senza giudizio, oltre il principio della libertà di coscienza. Che le ha generato preoccupazione e sofferenza del giudizio.

Anna qui scorge vite, donne silenziose, impaurite che hanno occhi cupi e chiedono aiuto. Donne fragili, migranti, disabili, bisognose che vengono rassicurate, spiegando loro come affrontare la eventuale richiesta di interruzione e tutto quanto utile per la contraccezione.

Un luogo dove la mente può far pace con il cuore mentre le persone che lo animano con il loro lavoro quotidiano danno consistenza ai diritti lottati e conquistati con fatica e tempo dalle donne.
Quelle donne che nel giugno del 1977 parteciparono ad una grande manifestazione a Roma, indetta dall’UDI (Unione Donne Italiane) e da tutti i collettivi femministi, per protestare contro la bocciatura in Senato della legge sull’aborto.
Le chiamavano e amavano chiamarsi le “Streghe” e chiedevano per strada, a gran voce, il diritto di essere loro a decidere sull’aborto.
Sì, lo ricorda bene Anna, perché sua nonna, con il suo stesso nome, quattro figli e tanta voglia di partecipazione, le raccontava sempre: a Roma abbiamo marciato in 50.000!
Tutte Streghe, unite per gridare e farci sentire!

E mentre nonna “Strega” abbraccia Anna nel ricordo, davanti ai suoi occhi corre il tempo dell’oggi che è reale grazie a quelle stupende “Streghe”; a passo veloce in questo reparto, con il loro bianco camice svolazzante si muovono donne, mediche, infermiere, ostetriche, operatrici sanitarie che sono lì per rendere effettivo quel diritto urlato nel passato per altre donne del futuro presente.
Ed è stupore quando realizza che è un team tutto al femminile.

Team che dovrebbe essere composto da 9 unità, come riporta il manifesto affisso alla parete del reparto; ma non è così! Dalla porta accanto semi aperta ascolta che da oggi, con il periodo estivo per mancanza di personale, le due mediche presenti dovranno fare straordinario per garantire il servizio alle tante donne che arrivano anche da altre città pugliesi e da altre regioni.
Non sanno come fare, come barcamenarsi tra straordinari lavorativi ed esigenze familiari: “come farò con i bambin? Tra qualche giorno l’asilo chiuderà per l’estate”.

Anna pensa che qui donne ascoltano altre donne; donne accolgono altre donne.
Ma chi sono queste donne? Sono lavoratrici Marcella, Alessandra, Vittoria, Maria, Marta, Lidia, Barbara, Francesca.
Lavoratrici che sente in affanno nel tentativo di conciliare esigenze organizzative del luogo di lavoro e legittime istanze della vita personale e di donne.

Ma è solo percezione? Servirebbe conoscere, comprendere, sapere di più.
Come? Lei lo sa. Lei sa come fare. Lavora con i numeri. Elabora ed interpreta dati, informazioni, sono i suoi attrezzi di prima conoscenza. Lei sa che essi sono potere e possono dar voce a chi non ce l’ha.
Possono aiutare, soprattutto quando fondati e tempestivi e lei donna accolta e sostenuta da altre donne del centro IVG vuole fare qualcosa per loro.
Vuole ricambiare in qualche modo, per raccontare la loro fatica quotidiana, il loro carico di lavoro che aumenta sempre di più. I loro Nomi non rimarranno anonimi grazie ai dati che racconteranno del loro prezioso lavoro.

Come in un cerchio il suo ascolto trova nutrimento e a sua volta ascolta e accoglie, attraverso i numeri.

Cerca dati e quelli più recenti sono disponibili in I.Stat di Istat per l’anno 2022; da essi si ricava che le interruzioni volontarie in Italia sono state 66.544. Quelle svolte a Bari rappresentano il 42% (2.276) del totale regionale (5.316), mentre il 58% è riferito complessivamente a tutte le altre province.
La percentuale barese descrive un fenomeno marcato, verosimilmente associato alla “migrazione” di donne verso il capoluogo di regione.

Il 12 settembre 2023 è stata trasmessa al Parlamento la relazione contenente i dati definitivi 2021 sull’attuazione della legge 194/78. Benché in lieve diminuzione, confermano un’alta percentuale di obiettori (63,4% dei ginecologi, 40,5% degli anestesisti e 32,8% del personale non medico) con ampie variazioni regionali per le tre categorie.
Nella relazione si considera tra l’altro l’impatto che l’esercizio del diritto all’obiezione di coscienza da parte del personale sanitario può avere sull’accesso al servizio IVG da parte delle donne e sul carico di lavoro degli operatori sanitari non obiettori.
In base a questi parametri, le Regioni in cui si osserva un carico di lavoro più alto per i ginecologi non obiettori sono Molise (2,8 IVG medie settimanali), Campania (2,4) e Puglia (2,1).

Nella relazione, inoltre, si legge:

È auspicabile che le Regioni che presentano le maggiori criticità possano valutare soluzioni per garantire quanto indicato nell’articolo 9 della legge 194/78, “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La Regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”.

I dati confermano l’intuito.
Presumibilmente quelli aggiornati agli anni 2023 e 2024 manterranno il trend crescente, riportando il disagio che si ripercuote sul carico di lavoro degli operatori sanitari che invece tende a ridursi, producendo probabilmente la eventuale inoperatività del servizio, quando agirà in concomitanza un altro importante fattore, legittime assenze del personale non obiettore: assenze dal lavoro per ferie, per congedi a vario titolo, personali e familiari (per esempio, fruizione ai sensi della legge 104/92 per la cura di parenti non autosufficienti, ecc.) o per astensione obbligatoria dal lavoro perché in stato di gravidanza. Sì, è un evento possibile che prende corpo proprio in quel momento sotto i suoi occhi.
Una medica attraversa la stanza e il suo camice bianco fa scorgere il dolce gonfiore dell’addome.
Ed è certo che dovrà assentarsi per tutelare la propria salute e quella del proprio feto, perché, tra l’altro, quel luogo di lavoro richiama rischi specifici indicati per legge nel Documento di Valutazione dei Rischi, e che per legge tutte le lavoratrici dell’Ospedale devono conoscere.

Poi lavoratrici mamme potranno assentarsi per permessi per allattamento e/o congedi parentali previsti dalla normativa vigente al fine di consentire pari opportunità e parità di genere nei luoghi di lavoro.

Il crescente ricorso a straordinari e, quindi, alla riduzione dei doverosi tempi di riposi prescritti, per sopperire alle assenze di personale configura situazioni di stress da lavoro-autocorrelato, con possibilità di incorrere in manifestazioni della sindrome di Burnout; sono lavoratrici che si sentono esauste, stanche e giù di morale, prosciugate e incapaci di recuperare le energie per poter affrontare un carico di lavoro in aumento. Sintomi tipicamente riconosciuti in coloro che lavorano nelle cosiddette “professioni d’aiuto”.

In uno studio pubblicato recentemente sull’European Journal of Emergency Medicine, la EUSME (European Society for Emergency Medicine) ha intervistato 1.925 operatori di medicina d’urgenza (medici, infermieri, e paramedici) nel gennaio e febbraio 2022.
Il 62% di tutti gli operatori sanitari ha riportato burnout, con alti livelli di depersonalizzazione (47%) e di esaurimento emotivo (46%), ma anche sentimenti di demotivazione personale (48%). Le donne hanno riferito più burnout degli uomini (64% contro 59%), così come gli infermieri rispetto ai medici (73% contro 60%).

In un reparto caratterizzato da esclusiva presenza di personale femminile, il bilancio di genere sarebbe strumento utile che analizza e valuta in ottica di genere, appunto, le scelte politiche e gli impegni economici-finanziari di un’amministrazione.
Conoscere attraverso i dati consentirebbe l’implementazione di strategie organizzative per conciliare esigenze esogene ed endogene all’organizzazione, adottare prassi che renderebbero concreti i principi costituzionali di pari opportunità che, se pur declinati in norme innovatrici, rimangono di fatto inapplicati, assumendo la forma di belle parole svuotate di sostanza.

Quella sostanza che diventa concreta grazie a Marcella, Alessandra, Vittoria, Maria, Marta, Lidia, ecc. che traendo forza dalla propria etica e responsabilità continuano ad offrire un servizio che non può e non deve essere interrotto.

Le ritorna alla memoria il drammatico periodo dell’emergenza sanitaria, dei medici eroi, di tutto il personale sanitario che ha dovuto fronteggiare con grande coraggio, professionalità, competenza e responsabilità la pandemia.
La retorica ostentata dai governi di prendere in carico il demolito sistema sanitario pubblico per riformarlo ed informarlo a garanzia del diritto alla salute per tutti e tutte cittadini e cittadine.
Ma quanto si è detto! E quanto, invece, si è fatto per gli eroi della pandemia?

Per gli eroi qualcosa è stato fatto?
Come in un gioco di contraddizioni, la memoria richiama il caso dell’annullamento di un verbale a seguito della lettera al Presidente della Repubblica del direttore del pronto soccorso del Policlinico di Bari, “multato” dall’Ispettorato del lavoro per non aver consentito riposi giornalieri previsti dalla legge a tutela della salute degli operatori sanitari.
Unanime il giudizio in quei giorni di ottobre del 2023: paradossale sanzione amministrativa agli eroi.
La nostra mente corre e valuta l’inopportunità, ma il pensiero possiamo domarlo e riflettere, avere tempo per pensare che la norma è stata solo applicata per ripristinare il diritto dei lavoratori ai riposi giornalieri, lavoratori che avevano denunciato e richiesto l’intervento ispettivo, evidentemente rimasti inascoltati.

La pandemia sembra lontana nel tempo.
L’urgenza è finita, ma i riposi continuano a non essere legittimamente riconosciuti.

Anna ha deciso di non scrivere al Presidente Mattarella.
Le sue domande, emozioni e pensieri non sono trascrivibili in un verbale ispettivo da poter annullare. Decide, invece, di raccontare numeri ed emozioni.

I numeri che raccontano per decidere e le emozioni che raccontano le anime, legati dal filo rosso della lotta intessuto dalle nostre meravigliose nonne streghe, unite e pronte per spezzare il controllo sociale del genere femminile e liberarsi dall’isolamento costruito dalla cultura patriarcale, ancora oggi presente.
Contare è evidenza di fatti oggettivi che rafforza la realtà che ci circonda e spazza via credenze e percezioni.
È questo l’affascinante mondo della statistica che amo.
Narrazione alternativa alle parole che si fa attraverso i dati, sintesi preziosa di fenomeni e di vite.
Studiare e approfondire mediante il metodo statistico è capacità interrogativa per osservare e capire gli accadimenti della vita umana.
Ho sempre ritenuto che raccogliere, registrare, archiviare, elaborare e interpretare i dati sia un atto politico, perché fissa obiettivi, determina scelte e decreta preferenze, anche quando i dati sono assenti. Essi sono potere, parlano a chi vuole e deve ascoltare e di coloro che non hanno voce.
L’intreccio del racconto numerico ha senso solo se ricordiamo che i dati sono espressione di pensieri, azioni e comportamenti.

Lo dico con le bellissime parole di Michela Murgia:

Contare è essenziale e rivoluzionario perché rileva immediatamente il tasso di biodiversità sociale e quindi di ingiustizia. Bisogna chiedere sempre dove sono le donne”.
…”Non si può cambiare la realtà da un giorno all’altro, ma nessuna realtà comincerà a cambiare se la necessità del cambiamento non diventa evidente a tutti”.

Di Anna Frasca su Ora Legale News

Credits: Elisa da Pixabay

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