
Immunità di branco
di Luigi Triggiani
Da Burioni a Konrad Lorenz: l’immunità dannosa della società italiana
Di “immunità di gregge” abbiamo sentito parlare molto nei mesi scorsi, da quando il primo ministro del governo britannico, Boris Johnson, l’ha indicata come strategia anti-covid-19.
Per contenere la diffusione del virus il governo inglese propose di non contrastare l’epidemia ma di far leva sull’immunità che, gradualmente, la popolazione, seppure a costo di molte vite, avrebbe acquisito: una strategia che si basa, appunto, sulla cosiddetta immunità di gregge, che consiste quindi nella capacità di un gruppo di resistere all’attacco di un’infezione, verso la quale un grande numero dei suoi membri diventa immune grazie alla produzione di anticorpi propri.
Una sorta di cruenta vaccinazione collettiva che alcune specie di esseri viventi – in una selezione darwiniana in cui sopravvivono solo i più resistenti – riescono a praticare sacrificando i più deboli.
A pensarci bene, facendo un triplo salto carpiato dalla virologia all’etologia, c’è un animale che ha raggiunto questo tipo di resistenza ai virus e agli attacchi esterni: l’animale subpolitico.
Condizione essenziale per il raggiungimento di tale status, per questa specie animale, è la caccia in gruppo; l’animale subpolitico, quando si muove solo, è un soggetto ad alto rischio di estinzione, fragilissimo, facilmente attaccabile appena mostra un fianco, a ogni passo fuori dal suo abituale territorio di caccia. In solitaria, l’animale subpolitico è un precario per eccellenza: basta un gossip ben assestato, un’alzata d’ingegno, per dirla con Camilleri, a ferirlo a morte.
In gruppo invece – dopo un primo duro periodo di ambientamento in cui vanno rimosse eventuali e residue scorie ideologiche – l’animale subpolitico può brucare come il più placido dei bisonti in una sterminata prateria del Wyoming: qualche periodo di siccità, ogni tanto un temporale, ma poi l’erba torna più verde di prima e intanto il tempo passa, il vitalizio si avvicina.
Se il grande Konrad Lorenz fosse ancora in vita, invece che stare immerso fino al collo in uno stagno a osservare anatre e a prendersi i reumatismi, oggi sarebbe mimetizzato dietro un carrello portavivande della Bouvette, a osservare il comportamento dell’animale subpolitico.
E avrebbe scoperto “l’immunità di branco”.
Decenni di sottocultura politica, in cui lo slogan non urlato è stato “tanto rubano tutti”, hanno sdoganato il più becero degli stereotipi: il subpolitico resiliente, quello che cambia correnti e partiti più frequentemente di quanto non faccia con le camicie al grido di battaglia ”mi piego ma non mi spezzo”.
A poco sono valsi gli sforzi e i sacrifici di chi ci ha creduto, donando anche la vita, e di chi ci crede ancora, impegnato oggi in una lotta titanica contro muri di gomma eretti sulla base di leggi elettorali come quella che va ricordata esattamente come fu definita dal suo primo firmatario, Calderoli: una porcata.
Solo le cattive notizie fanno notizia: luminosi esempi di politici immunizzati, da Razzi a Scilipoti, hanno contribuito ad abbassare continuamente le aspettative degli elettori, rafforzando di contro le difese immunitarie di questa particolare specie. Alla fine di questo percorso evolutivo, dalla classe politica – anche in questo momento di grande cambiamento (per usare un blando eufemismo) – l’italiano medio intimamente non si aspetta granché. Il problema è che la classe politica lo sa.
In ogni comunità, in ogni azienda, tra tanta brava gente, ci sono furbi e scansafatiche. Il parlamento, i consigli regionali e comunali sono soltanto campioni statistici rappresentativi dell’universo. L’immunità di branco la ottengono anche specifici raggruppamenti di burocrati e d’imprenditori, di sindacalisti e di docenti, di sacerdoti e di militari. Tutti quelli che hanno scelto, come missione, di sopravvivere.
La vita, più pericolosa ma ben più sensuale, è un’altra cosa. E vale davvero la pena di viverla diversamente, a testa alta, come fanno in tantissimi silenziosi combattenti che pure ogni tanto cadono nell’errore di invidiare questi poveretti.
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