La società dei fuoristrada

La società dei fuoristrada

di Anna Paola Lacatena (Sociologa e giornalista pubblicista in Taranto)

Qual è la cosa più coraggiosa che tu abbia mai fatto? Alzarmi stamattina, disse.”
(da “La strada” di C. McCarthy, Einaudi, 2006, pag. 207)

Suona bene la parola strada e quante sono le sue possibili varianti: circonvallazione, tangenziale, rettilineo, tornante, strettoia, mulattiera, tratturo.

Ai Sumeri che usavano pavimentare tratti di strada con mattoni cotti e bitume, sono seguiti gli Etruschi sebbene siano stati i Romani ad essere riconosciuti come i più grandi costruttori di strade della storia.
Le invasioni barbariche originarono un lungo periodo di stasi nella costruzione e manutenzione delle stesse, in un quadro di decadenza politica e amministrativa.
E chiedetelo ai romani quanto siano barbare le strade della capitale oggi.

Dopo quasi un anno di pandemia, dove portano quelle che stiamo percorrendo? Ci riportano ancora a idee come apertura, camino, raccordo, bagaglio, spostamento?
Viaggiamo quasi immobili lungo vie che se pure ci suggeriscono da cosa cerchiamo di allontanarci ben poco ci dicono verso dove stiamo andando.
Il potere come possibilità di fare cose e la politica come decisorio di cosa sia meglio fare sembra abbiano optato per una consensuale biforcazione (di strade) consegnando al cittadino sempre più smarrito l’irrisolta questione del chi dovrebbe attuare le scelte in assenza di (strade) alternative.

Da adepti della cultura consumistica, adusi alle soluzioni rapide e ai risultati senza sforzi facciamo fatica a differire la gratificazione, reclamiamo l’istantaneo appagamento, protestiamo rivendicando un rimborso che dovrebbe sanare la nostra attuale insoddisfazione.
Eppure bisognerebbe ricordare che la parola crisi designa il bisogno di prendere delle decisioni, quando pure ci fossero, sebbene le stesse non corrispondono al momento migliore della fiducia in sé stessi ma dell’insicurezza di sé.
Testimoni di deleghe, esternalizzazioni e sub-appalti della scelta, confondiamo il fuori controllo con l’incontrollabile, la non decisione con l’indecidibile, la salute con il denaro.

In un periodo di contrazione dei movimenti, il corpo sociale comincia a scalpitare alimentando ansia, sospetto, risentimento.
L’immobilismo del non potersi sentire pienamente liberi di fare, di muoversi, di uscire rivendicando un diritto alla libertà che è negazione di quella dell’altro in termini di sicurezza e salute, tradisce in realtà un sempre più mal sopportato non poter attendere ai propri affari, al consueto svago, alle occasioni e cerimonie da condividere con amici e parenti.
Limitata, costretta e distanziata, l’abbuffata di finto sociale e apparente collettività restituisce un individuo mai così eccezionalmente solo.

Eccola la strada più difficile: quella di ritrovarsi isolati ma con sé stessi.
Il dolore va attraversato fino in fondo, però, perché non torni, perché si faccia segnale di autenticità e sostegno verso colui che non si conosce dall’altra parte della strada o verso l’affetto più caro che non riesce a trovare il link per la didattica a distanza.
Nonostante la voglia di fuggire da ciò che ci appare come inaccettabile e illeggibile, vince chi resta prendendosi cura di sé e dell’Altro.
Tutto il resto è andare fuoristrada.

Image credit: LUuy da Pixabay

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