
Giurisdizioni
di Giancarlo Montedoro (Presidente VI sezione del Consiglio di Stato)
Ha ancora senso la esistenza della giurisdizione speciale del giudizio amministrativo?
È una domanda quasi solo italiana, deriva dalla posizione di Calamandrei all’Assemblea costituente, posizione che lo stesso Calamandrei constatò essere isolata, superata dalle considerazioni di Mortati e Meuccio Ruini.
È una forma di retrotopia per dirla alla Bauman (un guardare perennemente indietro) ritornare sempre su questa questione superata dalla storia in tutta Europa.
Le questioni di giurisdizione sono in realtà questioni di diritto sostanziale e dove c’è il giudice amministrativo è perché c’è lo Stato di diritto sugli atti dell’amministrazione mentre dove non c’è vige il principio The King does not wrong.
I paesi a giurisdizione unica come quelli anglosassoni – come insegna Mario Chiti – hanno ormai forme di tutela similari a quelle della giustizia amministrativa dei paesi continentali, sia pure inquadrate in un’unica organizzazione giudiziaria (la Corte Suprema inglese assomma in sé funzioni di giudice costituzionale, di giudice di Cassazione e di giudice amministrativo).
In tutta Europa esistono forme di giurisdizione amministrativa con modelli a Consiglio di Stato o senza funzioni consultive.
La Corte di Giustizia UE sugli atti degli organi comunitari funziona come un giudice amministrativo.
Il giudice amministrativo ha conosciuto una significativa evoluzione verso l’effettività della tutela dovuti anche alle caratteristiche scritte della trattazione.
Non sarebbe opportuno avere giudici specializzati (come già accade, di fatto, per gli avvocati) e quindi sezioni specializzate nei Tribunali, riunificando tutte le giurisdizioni?
È una scelta politica.
Sono compatibili con l’esercizio della giurisdizione gli incarichi extra giudiziari sia amministrativi che politici dei giudici? o questo rischia di incrinare la fiducia nei giudici?
Il problema della crisi di credibilità della giustizia legato ai suoi tempi inaccettabili ed alla conflittualità esasperata della società italiana (un noi diviso) è drammaticamente esploso con le condotte emerse in alcune frange del correntismo e dell’associazionismo giudiziario.
Il problema che si è evidenziato non concerneva quindi gli incarichi extragiudiziari, ma le modalità di conferimento degli incarichi direttivi che sono incarichi istituzionali.
Occorre – a questo proposito – ripensare al metodo di elezione del CSM. Scelta che spetta al Parlamento.
Invece la pluralità delle magistrature dà vita a quello che in passato ebbi occasione di chiamare modello separatista o modello osmotico di relazione fra il giudice e la società.
Fermo restando che non può dirsi che esista nella realtà un modello integralmente separatista o integralmente osmotico e che il giudice ordinario è a cultura tendenzialmente separatista (ossia basata sul mito della turris eburnea) e che il giudice amministrativo trova un arricchimento avere esperienze variegate che lo mettano a contatto con l’amministrazione (come gli incarichi che peraltro non sono per nulla estranei al mondo dei magistrati ordinari) trovo che il problema è avere regole precise e severi controlli (anche sui compensi che dovrebbero essere, quando previsti, sempre moderati e non eccedenti i trattamenti stipendiali).
Gli incarichi non dovrebbero essere mai cercati per mantenere integra l’indipendenza.
Essi dovrebbero derivare da un moto di altri mondi che sentano l’esperienza giurisdizionale come un punto di riferimento.
Non tutti gli incarichi poi si convengono ai giudici (non certo quelli di amministrazione attiva).
Con regole precise e ben proporzionate ed un’etica condivisa si evitano le forme di servaggio e si arricchiscono le esperienze professionali. Al contrario vietando in modo assoluto gli incarichi si fa del giudice un essere completamente avulso dalla società e questo è un problema.
Il privato e la pubblica amministrazione sono davvero in posizione di eguaglianza nel processo amministrativo?
Certamente con il nuovo processo amministrativo è stato fatto un passo avanti in questa direzione, però tradizionalmente nel processo amministrativo vige il principio dell’onere della prova e di allegazione con metodo acquisitivo che consente una distribuzione dell’onere della prova che tenga realisticamente conto della posizione preminente dell’amministrazione dotata di poteri autoritativi (peraltro erosi dall’incedere di forme di amministrazione consensuale, più orizzontale).
Le attuali norme sul controllo dell’operato della pubblica amministrazione sono sufficienti a garantire il pieno controllo sulla legittimità del potere esercitato?
Il codice del processo amministrativo prevede tutte le azioni esperibili contro la P.A. ivi comprese le azioni di accertamento e condanna.
Mi sembra che il Libro I del codice ha determinato una svolta storica, preparata lungamente dalla giurisprudenza, peraltro l’evoluzione giurisprudenziale su molti punti è ancora insufficiente nel perenne pendolo fra efficienza e garanzia.
Può essere compatibile il ruolo nello stesso organo, il Consiglio di Stato, di funzioni consultive e di funzioni giurisdizionali?
Non vi sono a mia memoria problemi di incompatibilità.
La funzione consultiva del Consiglio di Stato non si esercita ove vi siano conflitti anche solo potenziali fra cittadino e P.A. in quel caso scatta la competenza dell’Avvocatura dello Stato.
La funzione consultiva riguarda ormai i ricorsi straordinari, ove vige la regola dell’alternatività con i ricorsi giurisdizionali e la materia normativa.
In un minor numero di casi il Governo o altri organi costituzionali possono porre quesiti facoltativi ma sempre a condizione che siano astratti e non toccati da conflitti anche solo potenziali destinati ad essere conosciuti in sede giurisdizionale.
Per il resto vigono le regole di astensione e ricusazione.
Un’altra questione che riguarda l’accesso alla giustizia, dalla costituzione garantito a tutti, attiene all’ammontare del contributo unificato: i ricorsi sono sempre meno perché la p.a. agisce meglio o perché il contributo è sempre più alto?
Il Consiglio di Stato ed i Tar sono finanziati dal contributo.
Il numero delle controversie è veramente alto, quindi non mi sembra che in Italia ci sia un problema generalizzato di difficoltà di accesso alla giustizia.
La difesa è garantita in ogni stato e grado del processo.
La giurisdizione europea compulsata sul contributo unificato non ha ritenuto che esso contrasti con l’effettività della giustizia.
Mi rendo conto che può esserci un problema di accesso alla giustizia per la contrattualistica minuta, ma la linea di tendenza è ad accorpare le stazioni appaltanti ed associare gli studi professionali per raggiungere dimensioni operative più efficienti.
Cosa replica a chi sostiene che la giustizia amministrativa sia di ostacolo allo sviluppo economico del Paese (es x gli Appalti)?
Anche su questo problema si è discusso a lungo in anni passati.
Vi ho dedicato alcune riflessioni nel libro “Il giudice e l’economia“.
Anche a seguito di tali riflessioni è divenuto ricorrente il riferirsi (specie in relazione alla materia della regolazione economica) al giudice amministrativo come al giudice dell’economia.
Non so se sia così.
Il giudice dovrebbe fare giustizia come ben ha scritto uno dei Maestri della civilistica italiana il Prof. Lipari.
L’economia può essere una delle materia di cui si occupa la giurisdizione non la sua materia di elezione e le esigenze produttive in una società decente non diventano mai imperative sulle garanzie e sulle esigenze di giustizia.
Nello stesso tempo la giustizia deve essere resa celermente, come richiesto dal ritmo di sviluppo del capitalismo in questa fase storica.
Peraltro, altri Paesi (il Giappone) non hanno il mito della velocità ma fanno l’elogio della lentezza perché a volte lo scorrere del tempo risana le ferite della vita sociale e permette le composizioni delle liti.
I gradi di impugnazione spesso insegnano ad avvocati e magistrati (ed alle parti) a far decantare i conflitti.
Spesso, in tema di opere pubbliche, i TAR sono stati, aggrediti per aver annullato gare, come se il problema fosse stato l’accertamento della illegittimità della azione amministrativa e non la violazione di leggi e di regolamenti da parte della P.A.
La Corte Costituzionale ha fatto giustizia di tutti i tentativi di limitare in modo assoluto la tutela cautelare.
Peraltro nelle grandi opere si preferisce la tutela risarcitoria con effetti sui conti pubblici non sempre convincenti (le opere si pagano due volte: all’aggiudicatario che le esegue avendo vinto una gara illegittima ed al concorrente pretermesso che ha vinto il contenzioso risarcitorio.
Per una P.A. che riduca il contenzioso, meglio operando, che cosa propone?
Cosa farebbe se avesse la bacchetta magica ?
E’ una questione di cultura del dialogo e della decisione.
Occorre ascoltare, ma anche poi decidere.
La mancanza di decisioni strategiche dipende anche dalla crisi della politica (della capacità di direzione dei partiti di massa divenuti partiti mediatico- personalistici).
Riprenderei a formare intensamente il personale e mi occuperei del pubblico impiego riportando in auge aspetti pubblicistici del rapporto.
Rafforzerei ad ogni livello le responsabilità disciplinari.
Con una bacchetta magica darei a ciascun dipendente pubblico l’orgoglio di lavorare per un fine che lo trascende: il pubblico interesse.
Image credit: Gerd Altmann da Pixabay
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