Prospettiva ribaltata
di Anna Losurdo
Aboliamo gli ordini.
Lo dicono da anni i sostenitori della concorrenza e della liberalizzazione dei servizi legali.
Ritenuti, finora a sproposito, responsabili di tutta l’arretratezza del sistema economico professionale, delle difficoltà di accedere alle professioni, di essere una casta, una corporazione, chiusi su se stessi a protezione degli interessi non dei cittadini e delle cittadine ma dei propri iscritti.
Nepotismo, accesso facilitato ai figli d’arte, prestazioni non elevate, fittizio controllo della formazione sono le accuse mosse più di frequente.
Aboliamo gli ordini.
Lo sostengono i cittadini incappati in qualche vicenda processuale che non si è risolta in maniera soddisfacente o in qualche avvocato disonesto che, in tal caso, non ha ricevuto dalla giurisdizione domestica, la risposta di giustizia che si aspettava (rapida ed efficace).
Aboliamo gli ordini.
Lo richiede una parte degli stessi iscritti che, a causa anche delle difficoltà economiche con le quali facciamo i conti ormai da qualche decennio, ritengono l’assetto ordinistico inadeguato a fornire tutele ai propri iscritti e inutilmente costoso, come il nostro sistema previdenziale dai più vissuto come insostenibile.
In realtà non sono gli ordini in sé i responsabili delle accuse mosse ma le conseguenze della legislazione e delle scelte operate dai governi che si sono succeduti nel tempo.
E chiunque abbia frequentato per un po’ di tempo un qualunque ordine professionale può testimoniare che sia vero.
Immobilità sociale, difficoltà di accesso, servizi di bassa qualità per i cittadini (non solo consumatori), ecc. non sono ascrivibili ai consigli degli ordini ma sono una caratteristica strutturale del nostro intero sistema.
Di certo la nostra responsabilità è quella di non volere riuscire a vedere i nostri errori, di non aver saputo proporre alla politica soluzioni e proposte per un assetto più moderno.
Perchè la decadenza di un paese e della sua classe dirigente sta anche nella incapacità di riconoscere i propri errori e di correggerli.
L’assetto organizzativo attuale sconta la datazione risalente all’inizio del secolo scorso con tutte le complicazioni dovute agli innesti succedutisi nel tempo e in epoche più o meno recenti.
La sussidiarietà, ossia il trasferimento di funzioni e compiti dallo stato ai consigli degli ordini ha prodotto uno spropositato carico di adempimenti. Lo stesso è accaduto con l’impatto della normativa sulla privacy, sulla trasparenza, sulla anticorruzione.
La distonica qualifica di ente pubblico su base associativa ha esposto gli ordini alla tempesta perfetta.
A ciò si aggiunga il fallimento di tutti i tentativi di semplificazione che per l’eterogenesi dei fini ha prodotto una complicazione al cubo della legislazione.
Come non essere, quindi, favorevole a prenderne in considerazione un assetto organizzativo diverso?
Non so quanto ciò sia davvero un comune sentire.
La soppressione tout court degli ordini comporterebbe l’inevitabile trasferimento al ministero (nel nostro caso di giustizia) delle funzioni ora a essi attribuite: dalla tenuta dell’albo alla formazione e all’aggiornamento, compreso l’esame di ammissione se non abolito.
Il resto (difese d’ufficio, ammissione provvisoria al patrocinio dello stato e simili) a Tribunali e corti d’appello.
Potrebbe funzionare? Funzionerebbe meglio? Difficile a dirsi ma non possiamo escluderlo a priori.
Costerebbe meno? non credo, vista l’esperienza dei registri di recente istituzione (delegati alle vendite e incaricati della gestione delle procedure concorsuali).
Nel frattempo, in attesa della rivoluzione, potremmo pensare a qualche correttivo efficace.
Il suffragio universale per l’elezione di tutte le istituzioni forensi; l’introduzione del voto digitale su piattaforma certificata; la revisione del procedimento disciplinare, appesantito oltremisura e il ripensamento degli stessi consigli di disciplina; la revisione del percorso universitario e del praticantato.
Solo a titolo di esempio.
E per quanto attiene l’idea che abbiamo di noi forse sarebbe ora di abbandonare il sogno dell’avvocatura unita. Una chimera che abbiamo inseguito per decenni, inventandoci modelli organizzativi che si sono rivelati assai poco incisivi e che dovremmo avere il coraggio di abbandonare.
Siamo tanti, molto diversi l’una dall’altro, spesso portatori di interessi confliggenti che appaiono incomprensibili a chi ci guarda dal’esterno.
Abbiamo di certo un problema reputazionale.
Non da oggi e non lo scopriamo solo oggi.
Scontiamo l’essere dentro la giurisdizione ed è paradossale.
Costituiamo il presidio costituzionale del diritto di difesa ma siamo percepiti come corresponsabili della cattiva amministrazione della giustizia, nonostante le nostre istanze per migliorala vengano ignorate da decenni.
I rapporti con la magistratura, aldilà delle occasioni ufficiali, non sono affatto idilliaci come li descriviamo.
Colpa dei disdicevoli comportamenti di pochi e della diffusa svalorizzazione del ruolo della difesa.
La cronaca racconta quasi ogni giorno episodi deprecabili avvenuti nelle aule e fuori.
Gestiamo buona parte delle procedure alternative alla giurisdizione (ADR, mediazione, negoziazione assistita ecc.) ma non riusciamo a farne un punto qualificante del nostro ruolo nella risoluzione delle controversie. E tantomeno riusciamo a trasmettere quel valore nella società civile.
Fiducia, indipendenza, imparzialità, responsabilità
Sono le parole chiave e i caratteri qualificanti della nostra professione.
Le ripetiamo come un mantra eppure non passano come caratteristiche collettive.
Le ritroviamo spesso nei racconti dei nostri assistiti, quando con il nostro intervento sono riusciti a ottenere la risposta alla propria domanda di giustizia.
Ma evidentemente non sono sufficienti a restituire appeal alla nostra professione se è vero, come raccontano i dati degli ultimi anni, che il calo di iscrizioni non accenna a invertire la tendenza.
Ma questo fenomeno non deve essere osservato solo dal punto di vista interno e con i parametri della ridotta redditività e della perdita di prestigio della professione.
L’ultimo rapporto Censis spiega che è mutata l’attribuzione di senso dei giovani verso il lavoro, che esprime sempre meno la vocazione della persona e lo sviluppo della comunità e riflette sempre più il soddisfacimento di un bisogno materiale.
E allora forse è il caso di ribaltare la prospettiva.
E riconquistare, da parte degli Ordini, quella funzione elevata che la stessa legge professionale attribuisce loro.
Senza attendere l’ingresso a pieno titolo nei consigli giudiziari.
Senza attardarci a ragionare sul diritto di tribuna.
L’art 24 della legge professionale 247/2012, tra l’altro, statuisce che il CNF e gli ordini circondariali sono istituiti “… nonché con finalità di tutela della utenza e degli interessi pubblici connessi all’esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale“.
Un potere che forse neanche sappiamo di avere. Che forse ci è stato attribuito per distrazione ma con una legge dello stato.
Un compito alto che ci farebbe uscire dal perimetro della difesa corporativa dei nostri interessi.
Una azione che ci farebbe recuperare l’ascolto da parte della politica e dei governi. Ascolto sempre predicato da tutti come indispensabile. Ma sempre tradito nella scrittura delle norme.
Qui di seguito la registrazione dell’incontro organizzato il 20.12.2023 dalla commissione formazione dell’Ordine degli Avvocati di Bari, dal titolo “Ordine forense, funzione e valore: prospettiva ribaltata” in occasione del quale si è discusso anche di questo.
La relazione tra efficienza della giustizia civile e buon funzionamento del sistema economico è ormai generalmente riconosciuta.
Ma c’è anche l’altra parte dei diritti che impattano sulla vita delle persone cui troppo superficialmente non viene attribuita la stesa rilevanza.
L’efficienza della giustizia civile è condizione essenziale tanto per il corretto funzionamento del sistema
economico, quanto per la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
Intorno al (cattivo) funzionamento della giustizia in Italia ci sono anche molti falsi miti, pregiudizi e preconcetti come si legge anche nella analisi sulla reputazione della giustizia presentata recentemente in senato (https://www.italiadecide.it/wp-content/uploads/2024/03/italiadecide_litalia-e-la-sua-reputazione_giustizia-civile_compressed-3.pdf).
L’Italia risulta tra i paesi europei migliori per quanto riguarda l’efficienza dei suoi tribunali, superando anche le performance di Francia e Germania.
Una parte considerevole del miglioramento complessivo della giustizia civile italiana si deve infatti ai tribunali del Centro-Sud.
Si segnala anche il progetto europeo sul ruolo svolto dagli avvocati nell’amministrazione della giustizia, in qualità di intermediari tra i cittadini e i tribunali, TRIIAL 2 – TRust, Independence, Impartiality and Accountability of Legal professionals under the EU Charter (https://cjc.eui.eu/projects/triial-2/).
Di Anna Losurdo, su Ora Legale News
Credits: Anna Losurdo con Nigthcafè A.I. art generator
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