Per prima cosa uccidiamo tutti gli avvocati

Per prima cosa, uccidiamo tutti gli avvocati

di Aldo Luchi, Avvocato del Foro di Cagliari

Cosa avverrebbe se il proposito di Jack il Macellaio si avverasse?
Anzi, sarebbe meglio dire: cosa accade ogni volta che si avvera?
Nonostante i 400 anni abbondanti trascorsi da quando Shakespeare scrisse queste parole nel sul Enrico IV, gli avvocati restano ancora oggi uno dei primi bersagli sia di chi esercita un potere totalitario, sia di chi vuole sovvertire un ordinamento.
Oggi, tutti i regimi totalitari e oligarchici reprimono il libero esercizio del diritto di difesa incriminando gli avvocati che difendono i dissidenti (come Nasrin Sotoudeh, per la sua attività a favore delle donne che si ribellano all’obbligo di indossare il velo imposto dagli ayatollah), prestano la loro attività a favore delle etnie perseguitate (come gli avvocati del CHD a favore dei Curdi) o assumono la difesa di persone detenute arbitrariamente o uccise dalle polizie (come Ibrahim Metwaly, legale della famiglia Regeni in Egitto, e Mohamed al-Baker, detenuto arbitrariamente e poi rilasciato insieme a Patrick Zaki).

Ma l’occidente non è da meno.
La Svezia e il Regno Unito hanno reiteratamente impedito al team legale di Julian Assange la visione completa degli atti sui quali si fondavano le accuse a suo carico e colloqui riservati con il loro assistito, in totale spregio dei principi dettati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dalle Convenzione Europea sui Diritti Umani.
Gli Stati Uniti, se otterranno l’esecuzione dell’ordine di estradizione di Assange emesso ad aprile 2022 dall’Alta Corte britannica, lo processeranno in forza di una legge (l’Espionage Act) che permette al Procuratore Federale di secretare anche per la difesa gli atti sui quali si fonda l’accusa e che non consente all’imputato e ai suoi difensori di controinterrogare i testimoni.

In Italia, tanto l’interpretazione giurisprudenziale che tutte le cosiddette riforme in campo penale che si sono succedute fin dalla nascita del codice del 1989, hanno progressivamente limitato i poteri della difesa, smontando pezzo per pezzo il già labile piano di parità con l’accusa tanto sbandierato all’atto della sua promulgazione.
Il mantra sul quale si fondano le più recenti limitazioni imposte è il vincolo di riduzione dell’arretrato imposto dalla Commissione UE in cambio dell’erogazione dei fondi PNRR, che si è ritenuto di poter raggiungere stabilendo ulteriori limitazioni formali alle dimensioni degli atti difensivi e ai poteri di impugnazione e decadenze fondate su presunzioni, rese ancor più difficili da superare grazie a una generalizzata inefficienza dei sistemi informatici e una pressoché totale mancanza di formazione del personale.

L’avvocatura da tempo indica invano le tre cause, ormai ataviche, della lentezza dei processi: l’ormai cronica mancanza di magistrati e personale, l’assenza di investimenti adeguati e la non perentorietà di tutti i termini previsti per Pubblici Ministeri e Giudici, che già da sola evidenzia che il piano di parità tra le parti si riduce a una mera petizione di principio.
A ciò si aggiungano gli attacchi dei singoli alla funzione difensiva, come è avvenuto recentissimamente a Milano.

L’avvocatura, ben che vada, è generalmente vista come quella fastidiosa componente del processo che purtroppo disturba i magistrati impegnati a rispettare tabelle organizzative e standard di produttività.
Il principio del giusto processo, tuttavia, postula come necessario il pedissequo rispetto di tutte le regole poste a tutela del diritto di difesa, regole che costituiscono l’essenza stessa del processo e la cui violazione determina l’inesistenza stessa del processo quale metodo scientifico di accertamento dei requisiti fattuali e giuridici della responsabilità.

Ma non basta.

Ci si deve chiedere quale sia il sentire dei cittadini verso l’avvocatura.
Non parlo di quelli che si sono trovati o si trovano coinvolti in vicende giudiziarie e, di conseguenza, hanno avuto o hanno necessità di assistenza legale.
Parlo di quelli che non hanno mai avuto a che fare con un avvocato e spesso si formano l’opinione soltanto sulla scorta di ciò che leggono (quando va bene) sugli organi di stampa.
Ci si deve chiedere se questi cittadini abbiano piena contezza delle conseguenze che l’avveramento dei propositi di Jack il Macellaio comporterebbe sull’esercizio e la tutela dei loro diritti.

È probabile che molti non comprendano che le tante battaglie condotte dall’avvocatura negli ultimi anni (sulla prescrizione, sulle intercettazioni, sulla separazione delle carriere, sulle limitazioni alla custodia cautelare, solo per fare gli esempi più noti) non sono cura di interessi di bottega nel contingente interesse di questo o quel cliente, ma battaglie per i diritti di tutti.

Il diritto a non essere sottoposti a un processo a vita (a totale discrezione di un pm o di un giudice), alla riservatezza delle proprie comunicazioni con poche e motivate ragioni, ad essere giudicati da un giudice realmente terzo e imparziale (non un collega di chi li accusa), a non essere incarcerato prima che si accerti la propria responsabilità e ci si sia potuti difendere riguarda tutti.

E l’esercizio di questi diritti è possibile soltanto grazie all’avvocatura.

L’incapacità di comprenderlo passa attraverso schemi noti, come la strumentale rappresentazione (fin dai tempi bui di Mani Pulite) ad opera dei media di tutta la magistratura, compresi i pm, come giudici o della prescrizione come un escamotage ad appannaggio dei soli imputati facoltosi e, soprattutto, dell’avvocatura come di una categoria pronta ad assicurare il godimento di privilegi a pochi e disinteressata ai più.
Il fattore A è l’ingrediente la cui mancanza nella dose predeterminata causa il fallimento dell’esperimento.

Credits: Reinhard Thrainer da Pixabay

Di Aldo Luchi, su Ora Legale News

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