
A.I. una nuova empatia per la cura
di Anna Losurdo
Nel dibattito pubblico sono ormai continui gli aggiornamenti sui progressi nella robotica.
Sembra che l’intelligenza artificiale sia ormai a portata di mano.
E sembra, anche, che non se ne possa fare a meno.
E sembra, infine, che come al solito si sia creato un bisogno prima ancora di realizzare un “prodotto”.
Si, perché, i robot capaci di intelligenza “umana” e soprattutto di sviluppare i processi decisionali sono, allo stato, una prospettiva lontana e probabilmente anche irrealistica.
Quel che è certo è che gli investimenti nella robotica sono ingenti e nei prossimi anni cresceranno sia il mercato dei robot destinati ad essere “strumenti di compagnia” nelle famiglie così come quello dei “cobots” (macchine programmate per lavorare accanto ai lavoratori umani); i robot debutteranno presto nel settore dell’assistenza e impatteranno sul lavoro di cura e cambieranno il welfare.
Il progressivo invecchiamento della popolazione induce a pensare che la ricerca dovrà presto avere delle ricadute pratiche e non fermarsi più ai prototipi sperimentali dei robot assistenziali.
L’andamento dello sviluppo demografico in molti Paesi europei rappresenta una sfida per i sistemi socio-assistenziali, soprattutto con riferimento al rapporto tra la popolazione in età lavorativa e quella in età senile, alla erogazione dell’assistenza al di fuori dell’ambito famigliare e alla tradizionale ma sempre meno scontata attribuzione di tali compiti a famigliari di genere femminile.
Per molteplici ragioni è ormai ridotta l’assistenza fornita dalle famiglie: i nuclei famigliari tendono ad essere più piccoli che in passato, i componenti della famiglia sono spesso lontani e le donne svolgono attività lavorative.
La robotica assistenziale fornirà il necessario sostegno alle persone anziane in casa propria, alle loro famiglie, a coloro che prestano assistenza informale e sarà di supporto agli operatori del settore dell’assistenza esterna, ridisegnando il lavoro di cura robot-assistito.
La biorobotica si differenzia dalle forme più tradizionali della robotica perché cerca di imitare i principi di semplificazione che permettono di far funzionare in maniera veloce un sistema complesso come il corpo di un essere vivente.
Ecco quindi, che le applicazioni della biorobotica nel campo della assistenza agli anziani e ai disabili spostano l’asse del senso comune: e ciò che siamo abituati a pensare come disumano (una macchina, un robot che si prende cura di corpi) in realtà finisce per consentire alle relazioni di cura¸ importanti e delicate, di restare umane, offrendo ausili per preservarle dagli aspetti più spiacevoli dell’assistenza o per garantire autonomia alle persone assistite che, invece, volendo mantenere il più possibile la propria autonomia nella gestione della propria vita quotidiana, potrebbero preferire dispositivi assistivi piuttosto che dipendere da altre persone.
In realtà, le tecnologie sembrano poter fornire un contributo importante alla realizzazione di buone prassi in ambito assistenziale solo se le persone che le usano sono in grado di erogare le prestazioni assistenziali in maniera partecipe, amorevole e attenta, perché i contatti personali, affettivi e sociali sono parte integrante dell’assistenza.
Determinante, quindi, è ancora una volta l’apporto umano, senza che venga ridotta o compromessa l’interazione tra le persone assistite e il personale.
Sarà necessario, quindi, che nella progettazione dei robot assistenziali si riescano a riconoscere i bisogni ed emozioni delle persone assistite.
Sarà necessario che gli operatori non si lascino sopraffare dalla capacità delle macchine utilizzate per la cura robot assistita.
Determinante, anche nella futura interazione tra robot e persone umane resterà la capacità, tutta umana, di costruire relazioni e di interagire con l’altro da sé.
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