
Autoconservazione o autocritica?
di Aldo Luchi (Avvocato in Cagliari)
Stando ai temi congressuali individuati dal Comitato Organizzatore e al contenuto delle mozioni ammesse, l’avvocatura sembra manifestare una forte spinta al rinnovamento.
È un fatto, però, che questa spinta caratterizza da anni in modo ricorrente le sessioni congressuali e che, quasi sempre, si riduce a un nulla di fatto o alla formulazione di linee di principio che non tengono conto delle condizioni politiche, economiche e sociali nelle quali dovrebbero essere attuate, il cui esame – nei fatti – occupa gran parte dei lavori congressuali.
In pochissime occasioni l’avvocatura ha colto l’occasione della massima assise per adottare modifiche alla propria struttura tali da renderla più adeguata al mutato quadro socio-economico in cui si trova ad operare, trovandosi – forse forzatamente – a rincorrere le diverse riforme governative annunciate o, più spesso, realizzate senza che il suo apporto di idee e le sue richieste siano prese in seria considerazione.
Per contro, sono rarissime o del tutto assenti le spinte innovative provenienti dall’avvocatura, sotto forma di proposte o disegni di legge che ci permettano di qualificarci come forza propositiva e, nello stesso tempo, ci accreditino come necessario interlocutore per la revisione del sistema giudiziario in chiave di efficienza, di rafforzamento della tutela dei diritti e di salvaguardia delle garanzie.
È certamente vero che questa sostanziale esclusione dell’avvocatura dai processi decisionali in materia di giustizia dipende, in gran parte, dalla lottizzazione a opera della magistratura delle Direzioni Generali e dell’Ufficio Legislativo del Ministero della Giustizia. Ma, da un punto vista strutturale, dobbiamo chiederci se l’organizzazione del nostro Ordinamento professionale e la complessità dei processi di scelta delle linee di intervento non finiscano fatalmente per andare a discapito della tempestività dei nostri interventi, se una maggiore specializzazione non garantisca una maggiore adeguatezza degli interventi e se i metodi di individuazione delle rappresentanze garantiscano davvero la competenza necessaria a interloquire sui singoli temi.
E dovremmo chiederci, soprattutto, se questa complessità non tragga origine da una visione della nostra professione, oggi non più condivisa, che ci porti a trincerarci dietro un’autoreferenzialità ormai desueta e inadeguata o, peggio, un’idiosincrasia per qualsivoglia innovazione.
I temi del Congresso che si appresta a essere celebrato a Lecce confermano, a mio parere, questi dubbi.
Il numero e il contenuto delle mozioni presentate e ammesse all’adesione e poi al voto denuncia una tendenza a cesellare singoli aspetti del nostro Ordinamento senza che, alla base, vi sia un ripensamento della struttura organizzativa e il tentativo di intervenire su materie ormai oggetto di avanzati processi di revisione con l’affermazione di principi generici e, spesso, frutto di una non approfondita conoscenza dell’argomento.
E spesso si tratta di materie che andranno ad incidere in modo determinante sul futuro esercizio della professione forense, come le innovazioni tecnologiche o la ripartizione della rappresentanza tra quella istituzionale, quella politico-esecutiva e quella associativa, i rapporti con le giurisdizioni etc…
Penso che oggi sia più che mai necessario un profondo momento di riflessione sull’Ordinamento forense e sulle scelte organizzative che stanno alla sua base, a seguito del quale redigere un progetto di trasformazione che garantisca all’avvocatura efficienza e stabilità a lungo termine, rappresentatività e incisività nei confronti dei naturali contraddittori e delle Istituzioni e una nuova considerazione sociale.
Una rifondazione dell’avvocatura che ci consenta di avere un ruolo determinante nei prossimi decenni.
Credits: Toshiko Horiuchi, Hakone Open Air Museum (Giappone)
Di Aldo Luchi, su Ora Legale News
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