Femina Œconomica
di Luisa Rosti (Docente di Economia del Personale e di Genere dell’Università di Pavia)
Non sono una protagonista, nella storia del pensiero economico contemporaneo; il focus del mio contributo al sapere disciplinare sta tutto (o quasi) nell’aver un po’ argomentato l’affermazione seguente:
Se si assume l’ipotesi di uguale distribuzione di talento (o abilità innata) tra uomini e donne come gruppo, e si osserva la regolarità empirica costituita dal fatto che le donne come gruppo sono state e sono in posizione inferiore socialmente, politicamente ed economicamente rispetto agli uomini come gruppo, se ne trae la conclusione che l’attuale assetto istituzionale, cioè l’insieme delle regole che determinano il controllo e la distribuzione delle risorse, è inefficiente e può essere cambiato in modo al tempo stesso più favorevole alle donne e più vantaggioso per l’intera società.
Così è nato, ad esempio, nel secolo scorso, il saggio sulla discriminazione (Femina Œconomica – Ediesse, Roma, 1996).
La storia abituale che mi sentivo raccontare era più o meno questa: la discriminazione è ingiusta, ed è un problema per voi donne che ne subite i danni; quindi fate bene, voi donne, a chiedere che la discriminazione sia vietata per legge.
Ecco, in questo caso la resistenza psicologica è nata proprio da quel “è un problema per voi donne“, che è fuorviante ed oscura l’aspetto essenziale della questione.
L’aspetto essenziale della questione è che la discriminazione “è un problema per l’economia“, perché discende dal comportamento razionale degli agenti, permane in un mercato del lavoro competitivo, e produce un’allocazione inefficiente delle risorse.
Il punto cruciale, per un’economista, è l’inefficienza del risultato allocativo, ed è per questo che le regole antidiscriminatorie sono portatrici di un miglioramento paretiano, cioè di un benessere che non vale solo per le donne ma per tutti.
Un altro esempio è la teoria dei tornei letta con sguardo di genere (Se sei così brava, perché non sei ricca?).
Nella letteratura economica, la teoria dei tornei attribuisce alla competizione per la carriera la proprietà di efficienza nella rivelazione del talento, ma sottolinea che questa attraente caratteristica del modello vale se e solo se i tornei sono simmetrici, cioè se tutti gli agenti sostengono lo stesso costo per partecipare alla competizione (altrimenti il torneo è impari) e se nessuno dei partecipanti è discriminato dalle regole della gara (altrimenti il torneo è ingiusto).
La realtà che emerge dall’analisi dei dati evidenzia però che le competizioni per la carriera nel mondo reale non sono simmetriche.
Gli stereotipi di genere condizionano infatti negativamente le scelte degli agenti sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda di lavoro.
Dal lato dell’offerta di lavoro, cioè delle decisioni prese dagli individui, gli effetti dello stereotipo che delega alla sola componente femminile la responsabilità del lavoro domestico e di cura rendono il confronto tra i sessi una lotta impari, e favoriscono il permanere delle differenze di genere nelle assunzioni, nelle promozioni e nelle retribuzioni.
Dal lato della domanda di lavoro, cioè delle decisioni prese dalle imprese, una letteratura ormai consistente evidenzia come, a causa degli stereotipi, un’identica performance sia sistematicamente sottovalutata se attribuita a una donna invece che a un uomo, palesando in tal modo l’esistenza della discriminazione di genere e ostacolando la rivelazione del talento femminile.
L’esigua presenza di donne in posizione dirigenziale che deriva da queste scelte stereotipate rappresenta un costo per la società: il costo del mancato utilizzo di metà della potenziale intelligenza di cui il sistema produttivo può disporre; pertanto, la risoluzione di questo problema non rappresenta soltanto un interesse particolare delle donne, ma anche e soprattutto un interesse generale della società.
Le politiche di pari opportunità saranno dunque necessarie fino a quando le regole che governano i percorsi di carriera non produrranno una rappresentanza femminile nelle posizioni di vertice della società che rifletta la pari distribuzione di intelligenza tra i generi. Fino ad allora, ogni posizione apicale lasciata libera da una donna di talento sarà occupata da un uomo meno capace di lei, e questo risultato è individualmente ingiusto (dal punto di vista delle donne) e socialmente inefficiente (dal punto di vista della collettività).
E la prima e la più forte difesa contro i danni degli stereotipi è la scienza, cioè la conoscenza, l’informazione, il sapere disciplinare, come l’economia di genere.
Credits: Gerd Altmann da Pixabay
Già Professoressa ordinaria di Politica Economica dell’Università di Pavia, è attualmente docente di Economia del Personale e di Genere nella stessa università con la qualifica di Professoressa a contratto. Ha scritto di recente in tema di differenze retributive, istruzione e rivelazione del talento, genere e percorsi di carriera, stereotipi e discriminazione. Ha pubblicato in: Journal for Labour Market Research (forthcoming), Research in Labor Economics 2021, Gender, Work & Organization 2020, Economics Bulletin 2019, International Journal of Manpower 2017, Gender & Society 2013, Education + Training 2009 e 2012; Small Business Economics 2011; Economics of Education Review 2009).
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