
Good trusting
di Ezio Mola (Avvocato in Casamassima)
Un tema poco approfondito dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ma molto interessante per gli operatori del diritto è il rapporto tra il trust e il sovraindebitamento, soprattutto alla luce degli atti in frode ai creditori.
Nel nostro ordinamento il trust è stato applicato in maniera copiosa e gode di un discreto successo, favorito anche da modalità di attuazione relativamente semplici.
Esaminiamo il caso di un’impresa non fallibile, più che patrimonializzata rispetto ai debiti, ma in crisi di liquidità, che intenda evitare la paralisi dell’attività determinabile da azioni esecutive individuali promosse dai propri creditori su tutti i beni.
In questo caso il ricorso al trust, nell’ambito di un accordo di sovraindebitamento, per un verso è idoneo a soddisfare i creditori con causa o titolo anteriore al piano, mediante la liquidazione di determinati assets (crediti ed immobili) il cui valore è di molto superiore alla massa passiva e che non sono funzionali alla continuità dell’attività del sovraindebitato o di cui il sovraindebitato può fare comunque a meno; per altro verso il piano dovrebbe lasciar fuori gli altri beni aziendali, di proprietà del debitore, perché questi possano essere utilizzati per la prosecuzione dell’attività.
Sul piano strettamente operativo, la disciplina che, in tema di sovraindebitamento, sembra – come già per il concordato preventivo – più idonea a soddisfare le esigenze poste dall’utilizzo del trust in chiave concordataria, è la Jersey Trust Law del 1984.
Il trust del Jersey, infatti, prevede la possibilità di istituire come beneficiario una massa indistinta, quale è appunto la massa dei creditori nella procedura di sovraindebitamento, e di distinguere, all’interno di essa, classi di beneficiari e consente anche di nominare trustee uno dei soggetti beneficiari. Il trust del Jersey, inoltre, impone la nomina del Guardiano, ruolo che per il caso della procedura di sovraindebitamento può essere assolto dall’organismo di composizione della crisi.
Al fine di verificare se sia possibile, all’interno del procedimento di sovraindebitamento, far ricorso ad un trust, occorre verificare preliminarmente tre requisiti di carattere generale:
la verifica dell’astratta possibilità di impiegare un trust in presenza di altri istituti analoghi all’interno dell’ordinamento
Nel nostro ordinamento vige un generale principio di autonomia privata e la scelta di ricorrere al trust non deve svolgersi, da parte dell’operatore, alcuna valutazione circa la possibilità di reperire, all’interno dell’ordinamento altri strumenti che da soli o combinati con altri siano in grado di produrre risultati analoghi a quelli di un trust; tuttavia, è evidente che la comparazione del trust con altri istituti da un punto di vista pratico è un presupposto imprescindibile per la valutazione di fattibilità economica e di convenienza rispetto ad altre procedure concorsuali e deve essere effettuata per consentire ai creditori di ponderare il piano loro sottoposto;
la verifica della meritevolezza delle finalità del trust
Considerato che ci troviamo nel campo delle procedure concorsuali – in senso ampio – il difetto del requisito di meritevolezza si verificherebbe nel caso in cui si utilizzasse il trust per scopi diversi rispetto a quelli che apparentemente si vogliono perseguire, quando, in altre parole, si volesse dar vita ad una costruzione simulata attraverso la quale si realizzi il fine di sottrarre i beni ai creditori (per cui l’indagine deve essere fatta con riferimento alla causa concreta).
Se però si tratta dell’effettiva volontà di perseguire il fine di realizzare il soddisfacimento dei creditori del sovraindebitato, utilizzando proprio la segregazione per rendere impermeabile il progetto rispetto alle possibili iniziative individuali (esecutive) che potrebbero minare la fattibilità complessiva del piano, la meritevolezza è fuori discussione;
la verifica del rispetto delle norme di salvaguardia della Convenzione dell’Aja
La Convenzione fa salva l’applicazione di quelle disposizioni (interne) inderogabili tra cui (lett. e) quelle in materia di protezione dei creditori in caso di insolvenza.
Il problema si pone, soprattutto, nel caso di ricorso a un trust liquidatorio preconcorsuale da parte di un’impresa che versi in una situazione di difficoltà non ancora sfociata in un vero e proprio stato di crisi/insolvenza.
Se l’istituzione del trust sia avvenuta quando l’impresa era già insolvente – il ché, ovviamente, può costituire oggetto anche di successivo accertamento – il trust è nullo, salvo che l’atto preveda una limitazione dell’effetto segregativo stabilendo che, in caso di fallimento, i beni siano consegnati al liquidatore (c.d. clausola di salvataggio).
Di contro, il ricorso al trust è compatibile con la normativa posta a protezione dei creditori in caso di insolvenza qualora non preceda la procedura concorsuale (o di sovraindebitamento), ma si identifichi con la stessa, come nel caso in cui sia il liquidatore ad utilizzare lo strumento fiduciario ovvero il trust integri il piano concordatario o di sovraindebitamento (ad esempio il trust liquidatorio istituito per acquisire un credito IVA da ridistribuire fra i creditori una volta incassato; oppure un trust costituito per distribuire delle somme portate da una sentenza, in attesa della decisione definitiva).
La compatibilità con la norma di protezione della Convenzione dell’Aja è quindi evidente nell’ipotesi della procedura di sovraindebitamento perché l’effetto segregativo proprio del trust, con la conseguente esclusione per i creditori della possibilità di agire esecutivamente sui beni costituiti in trust, è coincidente con gli effetti della procedura di sovraindebitamento.
In buona sostanza: l’effetto segregativo sui beni destinati alla liquidazione, derivante dal ricorso al trust nell’ambito della proposta depositata coincide, in concreto, con quello già previsto dal combinato disposto delle norme sul sovraindebitamento, rispetto alle quali il trust nulla dispone in contrario.
Il ricorso al trust, quindi, nell’ambito del generale principio di autonomia privata e stante la libertà di forma dell’accordo di sovraindebitamento è certamente ammissibile.
In definitiva il giudizio sulla liceità della causa concreta del trust va effettuato necessariamente con riferimento al momento della sua costituzione per verificare se l’impresa fosse già insolvente, circostanza che può ad esempio verificarsi se il soggetto disponente è attinto da una procedura di riscossione da parte di Agenzia delle Entrate e verificando la causa concreta dell’istituzione del trust.
Verificati questi requisiti dobbiamo ora analizzare il concetto di atti in frode con riferimento al trust che possono precludere l’applicazione nell’ambito della procedura di sovraindebitamento.
L’utilizzo del trust nel sovraindebitamento: è sempre da considerare un atto in frode ai creditori?
Da un punto di vista generale sicuramente rappresenta un atto in frode alla legge l’assunzione da parte del debitore di una obbligazione con la consapevolezza di non poterla adempiere oppure la conclusione di un negozio giuridico al fine di occultare o sottrarre beni alla massa creditoria. Quindi in linea teorica potremmo ricondurre tra gli atti in frode i negozi giuridici volti a segregare il patrimonio del debitore come effettivamente è il trust.
Ai fini della corretta interpretazione dell’atto “in frode ai creditori” bisogna rilevare che il concetto di frode, già sul piano letterale, evoca una condotta positiva, che deve essere caratterizzata da inganno o da artifici e che deve essere retta da un particolare stato soggettivo, che è quello della preordinazione dolosa dell’atto allo scopo prevalente, se non unico, di ledere gli interessi dei creditori. Quindi l’atto in frode, in altri termini, non si identifica con il semplice atto pregiudizievole, ma richiede il carattere “fraudolento” della disposizione patrimoniale.
La finalità dell’assenza di atti in frode è quella di rappresentare una condizione di “meritevolezza” del debitore, ai fini dell’accesso alla procedura di sovraindebitamento predisposta dalla legge a sua tutela.
Questa interpretazione comporta che nell’ottica dei creditori a nulla rileva che vi siano stati atti che hanno diminuito la garanzia patrimoniale del debitore, se la procedura stessa consente, in ogni caso, un adeguato soddisfacimento delle proprie pretese; al contrario, un’interpretazione dell’atto in frode quale atto meramente pregiudizievole finirebbe per svilire la stessa logica sottesa agli istituti concorsuali, perché in linea teorica qualsiasi atto dispositivo compiuto dal debitore negli ultimi 5 anni sarebbe, in astratto, ostativo allo sviluppo della procedura, anche nel caso in cui il piano si basi su un serio e adeguato piano di ristoro dei creditori.
La giurisprudenza di merito ritiene comunque che sia integrato l’atto in frode ai creditori quando il trust è stato costituito successivamente al manifestarsi della situazione di squilibrio patrimoniale e con circostanze tali da far presumere l’intento di mantenere il controllo sui beni che verrebbero così sottratti alla garanzia patrimoniale.
Volendo trarre le fila del discorso sul trust è senza dubbio uno strumento altamente efficiente se utilizzato nell’ottica di favorire la massimizzazione delle ragioni creditorie, perché consente, attraverso la liquidazione degli assets non strategici del patrimonio del debitore, il superamento dello stato di insolvenza che verrebbe inevitabilmente ad incrementarsi se i creditori agissero separatamente.
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