
La nuova retorica
di Aldo Luchi (Avvocato in Cagliari)
Cos’è oggi nel processo la retorica (ρητορική), ovvero “l’arte del parlare e dello scrivere in modo ornato ed efficace, la tecnica del discorso teso a persuadere” (Treccani, Vocabolario) o “l’arte di governare le menti degli uomini” (Platone)?
È stata a lungo accomunata e confusa con l’eloquenza, esercitata come modello di discorso verboso e infarcito di espressioni auliche e ridondanti, barocco nella sua struttura.
Oggi, questa forma è (quasi) del tutto scomparsa dalle aule giudiziarie, sia da parte degli esponenti dell’accusa che da parte dei rappresentanti dell’avvocatura.
Residuano unicamente dei vezzi stilistici decisamente desueti e di maniera quali i “ricordo a me stesso” o l’uso dei brocardi latini per esprimere principi assodati e condivisi.
Nel processo (pseudo)accusatorio il fine della persuasione del giudice passa per strade diverse da quelle classiche.
Una strada è rappresentata dall’esercizio del diritto alla prova, dalla prova scientifica, dalle indagini difensive, dalle tecniche di esame e controesame che richiedono conoscenze di psicologia giudiziaria, tutti aspetti sui quali esiste una nutrita bibliografia.
L’acquisizione degli elementi di prova, la scelta dei mezzi di prova da dedurre, il modo di porre i quesiti ai consulenti e di porre le domande ai testimoni, sia in corso di esame diretto che di controesame, sono tutti metodi di convincimento del Giudice.
Non a caso, prima dello stravolgimento avvenuto per via giurisprudenziale (su tutte la c.d. Sentenza Bajrami) e – da ultimo – attraverso la prossima codificazione prevista dallo schema di Decreto attuativo della delega conferita al governo con la Legge 27 settembre 2021 n° 134, il principio di oralità immediata introdotto dal Codice del 1989 determinava che l’istruttoria dibattimentale dovesse ricominciare da capo nell’ipotesi di modifica della composizione del collegio o del giudice, proprio in ossequio a questa finalità delle prove e a beneficio della formazione del suo convincimento.
La genuinità della deposizione del testimone, l’accuratezza della consulenza tecnica, la conduzione dell’esame e del controesame da parte del difensore (e del PM) volta a porre in risalto le circostanze utili ai fini della decisione sono tutti elementi di persuasione del giudice.
La seconda strada è rappresentata dalla discussione.
Anche questa ha subito una necessaria trasformazione rispetto a quella dissertazione aulica e pomposa che era tipica del processo inquisitorio, sia in ragione del cambio di paradigma argomentativo che, oggi, deve necessariamente considerare tutti gli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria e operare una ricostruzione degli stessi conforme ai principi e alle norme sostanziali di diritto, sia a causa dell’adozione di strumenti che si affiancano e si sostituiscono alla mera comunicazione verbale (si pensi, ad esempio, a Fabio Anselmo che brandisce la gigantografia del cadavere del povero Stefano Cucchi o a Claudio Salvagni che riproduce i video catturati dalle telecamere dei movimenti del furgone di Massimo Bossetti).
Ma soprattutto, la maggiore efficacia persuasiva della discussione si ottiene con una dissertazione logica, pulita, consequenziale, conforme ai principi giuridici e alle norme, diretta ad offrire al giudice una lettura delle risultanze alternativa rispetto a quella offerta dall’accusa. Una lettura che non può trascurare gli elementi negativi o i dati contraddittori emersi nel corso del processo i quali devono essere valutati nell’ambito della ricostruzione proposta al giudice.
Come dice Nicolás Gómez Dávila,
“Per convincere il nostro interlocutore dobbiamo dedurre le verità che gli predichiamo dagli errori in cui crede. La retorica più alta è l’arte di partire da premesse false per approdare a conclusioni vere”.
Credits: SplitShire da Pixabay
Di Aldo Luchi, su Ora Legale News
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