
La Rete Natura 2000 dell’UE
di Bruno Petriccione (Giuri-ecologo – Colonnello dei Carabinieri per la Biodiversità nella riserva)
Sempre più ampie fasce di popolazione percepiscono il grido di dolore di ecosistemi e specie sfruttati e violentati dall’uomo ormai oltre ogni limite di presunta sostenibilità. Ma per attivare strumenti giuridici appropriati per contrastarne il deterioramento e la progressiva distruzione ad opera di chi agisce contro “un interesse pubblico di valore costituzionale primario e assoluto” (come definisce l’ambiente, solennemente, la Corte costituzionale), occorre ben altro.
Questi strumenti esistono, forti ed efficaci: quasi sempre sono norme di rango paracostituzionale, a volte addirittura norme interposte tra la nostra Costituzione e le leggi ordinarie, in quanto norme dell’Unione Europea o da queste direttamente derivate (Petriccione, 2020).
Ma sono norme troppo poco spesso applicate, per ignoranza o, peggio, insipienza o accondiscendenza con i poteri corrotti.
Fin dall’emergere, all’inizio del secolo scorso, della consapevolezza sull’importanza della protezione dei valori ecologici, la tutela normativa dei relativi beni materiali (territori ad alto valore ecologico) e di quelli diffusi (specie, ecosistemi e loro relazioni e processi) si è giocata tra l’esigenza di protezione di tali valori per se stessi e quella della loro protezione come occasione di sviluppo socio-economico e turistico di aree senza altre possibilità di questo genere (Petriccione, 2019).
Tentativi di sintesi tra queste esigenze apparentemente contrapposte sono stati tentati fin dall’inizio del secolo scorso, con l’istituzione dei primi Parchi Nazionali, ma l’obiettivo fu alla fine raggiunto soltanto declassando il regime di protezione del territorio e promettendo contributi finanziari per le attività turistiche alle riottose Comunità locali.
La felice idea della pianificazione dei Parchi attraverso una “zonazione” a tutela decrescente, disegnata in base alle conoscenze ecologiche e sulla base della destinazione d’uso del relativo territorio, dovette così attendere, per trovare un’efficace base giuridica, la Legge quadro sulle aree protette del 1991, entrata in vigore a distanza di quasi un secolo dalla sua prima formulazione.
Dopo quasi settant’anni dall’istituzione dei primi Parchi nazionali (oggi 25), a trent’anni da quella delle prime Riserve Naturali Statali (oggi 143, De Laurentis et al., 2003) e a venti da quella dei primi Parchi regionali, l’Italia si è dotata così finalmente, nel 1991, di una legge organica per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, la Legge quadro n. 394/1991.
Ma è la Direttiva Habitat dell’Unione Europea che ha segnato, nel 1992, una svolta fondamentale in chiave ecologica della politica europea di conservazione della natura: si è infatti passati dalla tutela delle singole specie a quella dei sistemi ecologici (habitat = ecosistemi), considerando le relazioni ecologiche necessarie al loro mantenimento a lungo termine.
L’entrata in vigore della Direttiva dell’Unione Europea “Uccelli” nel 1979 e soprattutto di quella “Habitat” nel 1992 ha fatto così compiere un deciso salto concettuale anche alle normative nazionali del settore, istituendo in modo rigoroso e chiaro una rete di aree protette ad un livello sovranazionale (la Rete Natura 2000), in grado di proteggere efficacemente tutte le specie animali e vegetali rare e minacciate su scala continentale, anche attraverso la protezione dei loro habitat, riconoscendo che un’efficace conservazione delle specie può essere ottenuta solo attraverso la conservazione delle interazioni tra di esse, cioè tutelando i loro habitat naturali.
La Rete Natura 2000 costituisce di fatto un sistema di aree protette a livello sovranazionale (che in Italia occupa quasi un quarto del suo territorio).
I siti della Rete europea comprendono terreni sia di proprietà pubblica sia privata, con limitazioni che vengono imposte ex lege ai legittimi proprietari, in base ad un interesse pubblico non solo nazionale, ma anche e soprattutto europeo.
La recente modifica degli art. 9 e 41 della Costituzione, poi, ha definitivamente confermato questa impostazione, introducendo la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi tra i sui principi fondamentali e subordinando l’iniziativa economica privata alla tutela dell’ambiente.
Il regime di protezione delle aree della Rete Natura 2000 è presidiato da norme nazionali, emanate in attuazione di norme europee: attraverso i Piani di gestione di ogni singola area, sono imposti pochi vincoli precostituiti, ma le procedure autorizzative per ogni intervento sono particolarmente aggravate (attraverso l’obbligo della valutazione di incidenza ambientale).
Oltre alle norme di carattere generale ed a quelle sulle aree protette, nuove fattispecie di reato sono state poi introdotte nel codice penale nel 2011 (approvato in attuazione della Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente), che puniscono severamente ogni azione in danno agli habitat o alle specie protette, gli articoli 727-bis e 733-bis.
La stratificazione cronologica delle principali normative europee e nazionali poste a tutela degli habitat e delle specie in Italia ha portato però nel tempo a sovrapposizioni, discrepanze ed anomalie, con conseguenti inefficienze e mancanza di chiarezza, in particolare, nelle forme e negli strumenti di gestione delle aree protette a livello europeo, nazionale e regionale.
Così, l’istituzione di moltissime aree protette a livello nazionale e regionale, avvenuta grazie alle Legge quadro n. 394/1991, cioè prima dell’emanazione (1992) e del recepimento (1997) della Direttiva Habitat, non ha potuto ovviamente tener conto della successiva istituzione dell’estesissima Rete Europea dei SIC/ZSC, la cui tutela è oggi presidiata da norme più solide e di più elevato livello gerarchico di quelle che proteggono le aree protette nazionali e regionali.
Da quanto esposto, si ricava l’impressione che, a causa di un diffuso deficit di legalità, nelle aree protette gli interventi che incidono negativamente siano spesso attuati in difformità dalla normativa vigente e senza tenere conto delle priorità di conservazione degli ecosistemi e degli habitat, che dovrebbero invece ispirare ogni intervento da compiere in territori protetti a livello europeo, nazionale o regionale.
Ogni attività produttiva deve essere sempre subordinata alla conservazione degli habitat protetti a livello europeo e comunque mai ammessa nel caso siano coinvolti habitat prioritari.
Per superare questo inammissibile divario tra ciò che dovrebbe essere fatto e quello che invece quasi sempre si fa, seguendo spesso il “Codice così fan tutti” (Santoloci, 2018) è necessaria un’estesa opera di informazione e sensibilizzazione rivolta innanzitutto ai gestori delle aree protette ed agli operatori di polizia giudiziaria, ma anche ai magistrati e al pubblico in genere, perché principi ormai scolpiti in norme e giurisprudenza di altissimo livello non restino ancora a lungo lettera morta, ma divengano presto parte viva di quel processo per salvare la Natura e con essa l’uomo.
Processo che, avviato da soli pochi decenni, non può ormai essere più arrestato.
Per approfondire:
- De Laurentis D., Panella M. & Petriccione B., 2003 – Le Riserve Naturali del Corpo Forestale dello Stato. La Riserva naturale di Torricchio (Univ. Camerino), 11 (3).
- Petriccione B., 2019 – La protezione dei valori ecologici in Italia. Collana “L’Uomo e l’Ambiente”, Camerino, Università degli Studi, Museo delle aree protette “Mario Incisa della Rocchetta”, nuova serie, 1: 87 pagg. (ISBN 979-12-200-4558-2, https://lynkos.net/boxfile/protezione-valori-ecologici-italia-2020.pdf).
- Petriccione B. (a cura di), 2020 – La tutela degli habitat e delle specie di interesse dell’Unione Europea. Vademecum info-operativo per il personale dei Reparti Carabinieri Biodiversità. Arma dei Carabinieri, Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare, C.R.E.A. 101 pagg. (doi: https://doi.org/10.5281/zenodo.7386756).
- Santoloci M., 2018 – Il Codice così fan tutti. Diritto all’ambiente edizioni; pag.144
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