
Pensieri, parole, opere e omissioni
di Michele Passione (Avvocato in Firenze)
Questo pezzo è dedicato ad Alberto Uccelli, che quando parlava faceva pensare
“Vìola il diritto di difesa sancito dalla Costituzione la norma, contenuta nell’articolo 41 bis o.p., che, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione, impone il visto di censura sulla corrispondenza tra il detenuto sottoposto al “carcere duro” e il proprio difensore”.
Questo il comunicato del 24 giugno 2022, pubblicato dall’Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale, con il quale si è richiamato il “ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso”.
Partiamo da qui, dalla sentenza n.18 del 2022, per riflettere brevemente sul ruolo della difesa nel processo penale, sul suo periodare e sulle sue (in)azioni. La forma e la sostanza.
Pur posto tra virgolette, il riferimento al “carcere duro” trasmette all’esterno l’idea – sbagliata – che possa esistere un regime differenziato per asprezza, che debba necessariamente connotarlo, così disvelando ciò che di solito si nega.
Quanto alla sostanza, applausi tra il pubblico; gli Avvocati gongolano.
Corrispondenza, strumento di comunicazione prezioso.
Condividendo l’etimo con quel sostantivo, il verbo intransitivo significa anche “essere fedele o conforme, avere o trovare riscontro”. Conforme a un’idea, un auspicio, un ricordo, un desiderio.
“Storia, impegno agguerrito su vocabuli ed etimo, derivazioni, antropologia, immedesimazioni fra idee e categorie: è ovvio che una vera procedura penale di tutto ciò sia figlia diretta. Senza, escono miopie, oppure sostanza asfittica. Per conseguenza, stupisce che molti riescano ad affrontare oggi la materia, per lo più senza contemporaneamente succhiare da quei patrimoni” (Nobili, 2009).
Stupisce, ma ormai sempre meno, che si possa pensare ad una gerarchia ed ortodossia del linguaggio e dei saperi, trascurando uno spazio argomentativo plurale che consenta a ciascun parlante di dire e comprendere il pensiero dell’altro, erigendo muri, e non ponti, che invece superino il linguaggio specialistico dei giuristi senza cedere al gergo sensazionalistico dei media (Giostra, 2020).
Non c’è bisogno solo di nuove parole, ma che queste siano comprensibili (cfr. art.3 Direttiva 2012/29/UE, che regola il Diritto di comprendere e di essere compresi).
C’è bisogno che la parola, oggi indifesa, torni ad essere parola in Difesa (come recita il Manifesto 40 assiomi sulla parola in Difesa, a cura della Commissione sulla linguistica giudiziaria della camera Penale di Roma).
Allora vediamo cosa accade, quando pensieri e parole si fanno indecenti, poiché “la parola non si limita a rivestire il pensiero: essa è il pensiero” e perciò “non possiamo immaginare di non reagire energicamente contro lo svilimento della parola” (Calzolari, 1999).
Si sente nelle aule (più di sovente dove il giudizio è rapido, l’imputato in arresto, l’avvocato di ufficio), si legge negli atti : “ricordo a me stesso…loro mi insegnano….non vi è chi non veda….presta il consenso…ci si riserva….Signoria Vostra Ill.ma….piaccia applicare…..con osservanza…..come per legge”.
Una progressiva perdita di consapevolezza linguistica, una preoccupante contrazione delle parole della difesa, sempre più spesso dimentica del suo ruolo costituzionale, a ciò indotta da prassi contrattive dei ruoli e dei tempi che il modello processuale ancora conserva, sempre più flebilmente.
È stato scritto, proprio su questa rivista (Benevieri, 2021), che “il processo penale prende forma sulle parole. Le parole costituiscono veicolo di prova, pertanto devono essere garantite”.
Garantire le parole per dire il diritto, per rispettare la tassatività, la prevedibilità, l’éclat della forma contenuto, dell’azione che non rimanda al dopo, a quando tutto si è compiuto.
Non restare acquiescenti.
Resta la base di tutto.
Credits: Linda Tegg, Tortoise exhibitionview
di Michele Passione, su Ora legale News
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