Una giustizia peggiorativa?
di Andrea Mazzeo (Psichiatra in Lecce)
Alcune delle modifiche alla riforma del processo civile sembrano andare in una direzione peggiorativa rispetto all’attuale; mi riferisco in particolare alle modifiche apportate agli articoli 13 e 15 delle Disposizioni di attuazione del c.p.c.
Si tratta delle norme sull’Albo dei consulenti tecnici (art. 13) e sui requisiti per l’iscrizione allo stesso (art. 15).
Con l’art. 13 vengono definite le categorie che devono essere comprese nell’albo e che nella formulazione attuale sono sei:
1) medico-chirurgica,
2) industriale,
3) commerciale,
4) agricola,
5) bancaria
6) assicurativa.
In ciascuna di questa categorie vengono ricompresi coloro che ne fanno richiesta, in possesso del relativo titolo di studio; per es. nella categoria medico-chirurgica vengono iscritti i medici-legali, i cardiologi, gli ortopedici, gli psichiatri, i chirurghi, i dentisti, ecc.
Le modifiche approvate hanno aggiunto una settima categoria, così formulata:
“della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell’età evolutiva e della psicologia giuridica o forense”.
Circa la neuropsichiatria infantile, la stessa è una specializzazione della categoria medico e chirurgica, quindi la sua indicazione è pleonastica; i neuropsichiatri infantili hanno già la possibilità di iscriversi all’albo dei CTU nella categoria medico-chirurgica.
Non vi sono albi separati per, ad esempio, gli psichiatri, i cardiologi, gli ortopedici, ecc.; ha l’aria quasi di una norma ad personam.
Per quanto riguarda la psicologia dell’età evolutiva e della psicologia giuridica o forense, le stesse non costituiscono categorie distinte rispetto alla categoria generale, che tutte le comprende, che è quella della psicologia; pertanto l’aggiunta della settima categoria alle sei attuali deve essere quella della psicologia, senza ulteriori specificazioni.
La norma, oltre a essere profondamente discriminatoria rispetto agli oltre centomila psicologi che vi sono in Italia, privilegiando qualche centinaio di psicologi giuridici, sembra essere ugualmente una norma ad personam; qualsiasi psicologo è in possesso delle cognizioni tecniche per rispondere ai quesiti del Giudice su questioni di natura psicologica.
Sulla psicologia giuridica vanno poi fatte ulteriori precisazioni.
Sin dal suo nascere, nel 1996, la psicologia giuridica ha messo al centro dei suoi insegnamenti e della sua prassi falsi concetti psicologici, come quelli, ne cito solo alcuni, di sindrome di alienazione genitoriale, amnesia infantile, suggestionabilità del minore, ecc.
La sindrome di alienazione genitoriale (PAS) sappiamo ormai tutti cosa sia, l’ipotesi, mai supportata dai fatti, mai verificata né verificabile, secondo la quale i bambini che in corso di separazione accusano un genitore di violenza o abusi sessuali, siano stati manipolati dall’altro genitore; ipotesi già condannata come falsa scienza e addirittura come scienza spazzatura (junk science) dalla psichiatria ufficiale internazionale sin dal 1985 (Prof. Paul Fink, capo della task force per il DSM-III nel 1985).
In Italia siamo dovuti arrivare al 2012 per avere la dichiarazione del Ministro della salute sulla non scientificità della PAS; e al 2013 per la sentenza della Suprema Corte di Cassazione che ha condannato l’uso di questo concetto in Tribunale (Cass. I Sez. Civ, n. 7041/2013).
Queste autorevoli pronunce sono state sistematicamente disattese dalla psicologia giuridica, tanto da rendere necessario un nuovo intervento del Ministro della Salute e il recente intervento della Ministra della Giustizia, per ribadire che questi concetti non devono più entrare nei processi.
È recente, infine un’Ordinanza della Suprema Corte di Cassazione (n. 13217 del 17 maggio 2021) che ha definito la PAS e i concetti similari come «espressione di una inammissibile valutazione di täter typ», il concetto del codice penale nazista del 1940 per il quale viene sanzionato non più l’illecito ma l’autore “per quello che è non per quello che fa” (Eva Stanig).
Il concetto di amnesia infantile è, per certi versi, un corollario del teorema errato della PAS secondo il quale bambini che riferiscano di violenza in famiglia ma soprattutto di abusi sessuali subiti da un genitore non sono credibili poiché nella fascia di età da 0 a 4-5 anni si troverebbero nella impossibilità di conservare ricordi, avrebbero cioè l’amnesia infantile.
Ebbene, non c’è niente di più falso!
Questo concetto è smentito dalla letteratura scientifica internazionale. Un interessante articolo di uno psichiatra dell’Università del Colorado è molto chiarificatore sulle memorie infantili precoci ().
La suggestionabilità del minore è un altro concetto sostenuto dalla psicologia giuridica per screditare le dichiarazioni del minore nei casi di abusi sessuali incestuosi; anche per questo concetto la letteratura scientifica internazionale è di segno diverso (), avendo dimostrato che se è possibile indurre nei bambini, in circa il 15%, il falso ricordo di eventi plausibili (es. essersi smarriti da piccoli in un supermercato) è praticamente impossibile indurre nei bambini il falso ricordo di un evento non plausibile (nello studio, aver subito un clistere da piccoli).
E non sono poche le perizie in cui bambini e ragazzi ritenuti dal perito in possesso della capacità a rendere testimonianza non sono poi stati creduti perché ritenuti, senza prova alcuna, suggestionati, manipolati psicologicamente.
Con la psicologia giuridica entra nel processo una falsa scienza
(PAS, alienazione parentale, amnesia infantile, suggestionabilità del minore, test aIAT, ecc.) frutto non di ricerca scientifica seria e accreditata ma di strategie processuali costruite a tavolino per alterare, distorcere pre-giudizialmente l’andamento di alcuni processi e ovviamente il loro esito, in primo luogo quelli per abusi sessuali sui minori e in seconda istanza quelli di separazione a affidamento dei minori in seguito a violenza in famiglia.
Lo abbiamo visto in questi anni; la Commissione femminicidio ha ampiamente documentato l’enorme numero di procedimenti condizionati da CTU fotocopia che si richiamavano ai concetti della psicologia giuridica e che hanno comportato l’assoluzione dell’autore delle violenze o degli abusi sessuali, o l’archiviazione del procedimento a suo carico, e la colpevolizzazione, la rivittimizzazione istituzionale di chi ha subito violenza in famiglia o abusi sessuali incestuosi.
Per quanto riguarda l’art. 15, agli attuali requisiti per l’iscrizione all’Albo dei CTU (speciale competenza tecnica in una determinata materia, condotta morale specchiata e iscrizione nelle associazioni professionali), sono stati aggiunti i seguenti, da possedere congiuntamente o alternativamente:
1) comprovata esperienza professionale in materia di violenza domestica e nei confronti dei minori;
2) possesso di adeguati titoli di specializzazione o approfondimenti post-universitari in psichiatria, psicoterapia, psicologia dell’età evolutiva o psicologia giuridica o forense, purché iscritti da almeno cinque anni nei rispettivi albi professionali;
3) aver svolto per almeno cinque anni attività clinica con minori presso strutture pubbliche o private.
Requisiti molto opinabili, a mio modesto parere, perché la speciale competenza tecnica in una determinata materia è certificata dal possesso del diploma di laurea in una delle categorie previste mentre non si comprende da chi dovrebbe essere certificata la comprovata esperienza professionale in materia di violenza.
Il requisito del possesso di adeguati titoli post-laurea è, come già detto, discriminatorio e norma ad personam; può essere motivo preferenziale per il Giudice al momento del conferimento dell’incarico ma non può essere motivo di esclusione dall’iscrizione all’Albo dei CTU dei laureati in psicologia o in medicina che non li possiedono.
Il terzo punto è molto pericoloso perché apre la porta ai non laureati né in medicina né in psicologia, per l’iscrizione all’Albo dei CTU, una cosa semplicemente aberrante.
Image credit: Rajesh Balouria da Pixabay
di Andrea Mazzeo, su Ora Legale NEWS
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