
Come pesci nel grande oceano
di Pietro Buscicchio (Psicologo e psicoterapeuta in Bari – Uomini in Gioco/Maschile plurale)
“Il cosiddetto “mondo reale” degli uomini e del denaro e del potere canticchia allegramente sul bordo di una pozza di paura e rabbia e frustrazione e desiderio e adorazione di sé.”
(David Foster Wallace, 2005)
“È più facile spezzare un atomo, che un pregiudizio”, pare abbia detto Albert Einstein in persona.
Cosa dire dello stereotipo, che del pregiudizio è il nucleo cognitivo, allora?
Smontare stereotipi e pregiudizi nell’epoca delle post verità non è impresa da poco.
Se già Mark Twain diceva che “una bugia ha già viaggiato per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe”.
Se Orson Welles ci mise tutto il suo genio per far credere per qualche minuto che New York stesse soccombendo ai marziani.
Ora che la comunicazione e l’informazione viaggiano su multipli di multipli di byte, un click sul pc o sullo smartphone possono far viaggiare un’idiozia sette volte per l’intero cosmo mentre lo studioso, il ricercatore, la persona riflessiva, che ancora vagamente ricorda cosa significhi pensare, sta ancora sfilandosi il pigiama e stropicciandosi gli occhi.
Questo è lo scenario della post verità.
Naufrago nel confuso mare della comunicazione al tempo dei social, chi ancora desidera interrogare i fatti si aggrappa alla riflessione come ad un relitto di zattera che ancora lo tiene a galla.
La bugia ripetuta all’infinito, che diventa verità, vale a dire la strategia propagandistica che vorrebbe fare di ognuno di noi un inconsapevole Truman, nutrito di (finte) sicurezze è ormai quasi meglio applicata in politica che in pubblicità.
Nel 1986, a proposito di uno studio sulla persuasione, due ricercatori, Petty e Cacioppo, parlano di percorso periferico e percorso centrale; spesso, noi ci formiamo convinzioni, maturiamo scelte, prendiamo decisioni in modalità di distrazione, attenzione dispersa, fretta.
NON ABBIAMO TEMPO
Percorso periferico, lo chiamano gli studiosi; siamo in periferia di noi stessi, non abbiamo tempo per districare il vero dal falso con maggior cognizione di causa.
Così pregiudizi e stereotipi proliferano.
Se seguire un percorso decisionale periferico fa pochi danni mentre in un opulento ipermercato dobbiamo scegliere un gadget tecnologico, ne può fare tantissimi se ci lasciamo superficialmente persuadere da asfissianti propagande politiche ad identificare nemici, raggruppati, ad esempio, secondo criteri di facile identificabilità.
Se così stanno le cose, quello che Petty e Caccioppo chiamano “percorso centrale”, vale a dire un percorso che porta a maturare un’idea o prendere una decisione soltanto dopo un processo di ricerca personale, diventa sempre più un inerme David al cospetto di un Golia sempre più nutrito dal transgenico junk food che abbonda sul Web.
Anche quella configurazione di base di cui parla Foster Wallace, la “convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del mondo intero” è un potentissimo veleno culturale che nella figura dell’hater trova una grottesca rappresentazione estrema.
La questione non mi pare di poco conto.
La capacità di pensiero riflessivo, che è stata evolutivamente premiata, rischia, al tempo dei social, di essere neutralizzata da pifferai manichei, in politica, nel mondo dell’informazione, nella ricerca scientifica.
In un formidabile apologo, nel 2005, David Foster Wallace parlava dell’ignoranza dell’acqua da parte dei pesci e della “convinzione automatica e inconscia di essere il centro del mondo, e che i miei bisogni e i miei sentimenti prossimi sono ciò che determina le priorità del mondo intero”.
Se la nostra acqua è la struttura culturale nella quale viviamo, dobbiamo stupirci se siamo così immersi in pregiudizi e stereotipi da non accorgercene quasi più?
Se pensiamo ai cosiddetti stereotipi di genere poi, immagini semplificate e rigide delle caratteristiche identitarie dell’uomo e della donna (ma non solo), troviamo che il pregiudizio, ad esempio il pregiudizio misogino, è solidamente abbarbicato a millenni di storia culturale scritta dal patriarcato, come magistralmente riassunto (si fa per dire, 318 pagine), in un recente testo di Paolo Ercolani.
Il professor Alessandro Strumia è un fisico dell’Università di Pisa . Partecipando a una conferenza su «Fisica delle alte energie e gender», durante la quale veniva affrontata la questione della discriminazione ai danni delle donne nella fisica, ha cercato di dimostrare che, se una discriminazione esiste, è a danno degli uomini.
«La fisica è stata inventata e costruita dagli uomini, l’ingresso non è su invito».
Il giorno dopo Donna Strickland viene proclamata nobel per la fisica 2018. Ma, se non tutti e tutte abbiamo ambizioni da nobel, tutti e tutte possiamo contrastare la deriva omologante provocate dall’uso e abuso dei social, quello pseudo-pensiero infarcito di stereotipi e pregiudizi, che, abbiamo visto, non risparmia nemmeno menti collaudate al pensiero scientifico.
Alejandro Jodorowskj in un apologo racconta di come nessuno di noi può cambiare il mondo, ma ciascuno di noi può cominciare a farlo.
Questo, io credo sia lo spirito giusto, che deve animare Davide al cospetto di Golia.
Gli antidoti allo strapotere del “cretino velocissimo” e alla sua capacità di diffondere pregiudizi, stereotipi e luoghi comuni, non possono che risiedere nella capacità di riflessione, nell’ascolto dell’altro, nella capacità di accettare l’incontro reale; di mettere in conto che, attraverso questo incontro, io possa anche cambiare qualcosa della mia visione del mondo.
Voglio citare, in conclusione, un progetto di contrasto agli stereotipi di genere, che mi vede personalmente impegnato; da gennaio a novembre 2019, a Conversano, attraverso metodologie partecipative e proposte culturali, cittadini, studenti, operatori sociali, sono invitati ad un confronto attivo, ascoltarsi, discutere, giocare (nel senso dello psicoanalista Winnicott e del poeta Schiller).
Senza nascondersi dietro lo schermo di un Pc e senza compulsare maniacalmente il nostro smartphone.
Ne siamo ancora capaci?
Photocredit: http://www.coscienzeinrete.net
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