
Dalla rivoluzione francese il valore dell’umanità
di Dominique Attias (Avvocata in Parigi- Vice Presidente dell’Assemblea Generale della FBE)
Parler des Droits de l’Homme n’est pas un mince sujet.
La déclaration des droits de l’Homme et du Citoyen de 1789, est un texte fondamental de la révolution française.
Cette déclaration avait pour objectif de proclamer au monde que des temps nouveaux étaient arrivés.
À la lecture du procès-verbal de l’Assemblée nationale des 20, 21, 23, 24 et 26 août ainsi que du 1er octobre 1789, les représentants du peuple français rappellent que « l’ignorance, l’oubli ou le mépris des droits de l’Homme sont les seules causes des malheurs publics ».
Ils ont donc décidé d’exposer dans cette déclaration les droits inaliénables et sacrés de l’homme, déclarant dans l’article 1er que « les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits ».
Nous fêtons cette année les 230 ans de cette déclaration.
Quel en est le bilan en 2019 ?
En France s’est créé un mouvement faisant tâche d’huile en Europe : les gilets jaunes.
L’Europe qui était considérée comme un facteur d’avenir, de paix et d’union entre les peuples est désormais appréhendée par les mêmes, comme « un monstre dévoreur » d’êtres humains.
Le pouvoir pyramidal est bousculé par ceux et celles qui désirent un pouvoir transversal au risque de se faire vampiriser par des fantômes du passé.
D’autres monstres que l’on croyait à tort terrassés reviennent à la surface, porteurs de rejet de l’autre.
Le racisme, l’antisémitisme et le repli sur soi refont surface.
Seule lueur d’espoir, ces droits de « l’Homme » connotés donc par le masculin et inconsciemment excluants, sont devenus et revendiqués comme « les droits humains » incluant désormais les femmes et les enfants, éternels oubliés.
Même si le préambule de la Constitution française du 27 octobre 1946 proclamait que la loi « garantit à la femme dans tous les domaines, des droits égaux à ceux de l’homme » (art.3), jusqu’en 1965, la femme doit demander à son mari, l’autorisation pour pouvoir exercer une profession, pour se présenter à un examen et même passer son permis de conduire.
Bref, nous étions il y a 54 ans, dans la situation des saoudiennes aujourd’hui.
La forte proportion de femmes dans les mouvements populaires actuels a frappé les observateurs.
La féminisation du monde du travail compte au nombre des bouleversements les plus radicaux du dernier demi-siècle, en particulier à la base de la pyramide sociale.
En France, les « travailleuses représentent 51% du salariat populaire formé par les ouvriers et employés » (Le soulèvement français Le Monde diplomatique janvier 2019 Pierre Imbert).
La présence des femmes est également significative dans les professions libérales est également significative.
En France, les avocates représentent 54% de la profession sur 67.000 avocats en France, dont 30.000 au Barreau de Paris.
L’académie française, institution chargée de la défense de la langue française est sur le point d’autoriser l’usage des noms de métiers au féminin.
Les avocats au féminin se dénomment désormais avocates.
Celles qui dirigent les Ordres, revendiquent peu à peu de se faire appeler Bâtonnières.
J’ai été la première à revendiquer cette appellation au Barreau de Paris.
Les réseaux sociaux constituent, quoi qu’on en dise, un moyen pour les femmes de faire cesser les discriminations et d’aboutir à une réelle égalité des droits.
Les mouvements «#me too» et autres, sont à l’évidence une démonstration, certes parfois exacerbée, d’une partie de la population dont la parole est désormais libérée.
Les femmes représentent en Europe 55% de l’électorat.
Elles sont pourtant peu représentées aux postes à haute responsabilité en entreprise ou en politique.
Nos sociétés prônent l’égalité et le respect des droits humains.
Aux femmes et aux hommes de continuer à cheminer ensemble, de refuser une vision restrictive qui ne conduira qu’à un recul des droits humains.
« Le regret d’un âge d’or » dit Valérie Charolles philosophe et enseignante spécialiste « des enjeux politiques » est peut-être plus simplement un affaiblissement de la position des hommes dans la société.
Il nous appartient de réinventer ensemble une nouvelle société où les droits de l’Homme deviennent définitivement humains.
Où les droits humains porteront haut et fort ce qui est encore trop bafoué dans nos sociétés : la liberté, l’égalité et la fraternité.
Parlare di Diritti dell’Uomo non è cosa da poco.
La Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino del 1789 è un testo fondamentale della rivoluzione francese.
Questa Dichiarazione aveva per obiettivo di proclamare al mondo che tempi nuovi erano giunti.
In occasione della lettura del verbale dell’Assemblea Nazionale del 20, 21, 23, 24 e 26 agosto e quella del 1° Ottobre 1789, i rappresentanti del popolo francese ricordano che “l’ignoranza, l’oblio o il disprezzo verso i Diritti dell’Uomo sono le sole cause dei mali pubblici”.
Essi hanno pertanto deciso di esporre in questa dichiarazione i diritti inalienabili e sacrosanti dell’uomo, dichiarando all’articolo 1 che “gli uomini nascono e restano liberi e uguali nel diritto”.
Quest’anno, festeggiamo i 230 anni di questa dichiarazione.
Qual è il bilancio nel 2019?
In Francia è esploso un movimento che si è diffuso a macchia d’olio in Europa: i gilet gialli.
L’Europa, considerata una promessa di avvenire, pace e unione tra i popoli, è ormai alla mercé di questi, come un “mostro divoratore” di esseri umani.
Il potere piramidale è scosso da coloro che desiderano un potere trasversale, al rischio di farsi sopraffare dei fantasmi del passato.
Altri mostri considerati a torto sconfitti riaffiorano in superficie, portatori di un sentimento di rifiuto per l’altro.
Il razzismo, l’antisemitismo e l’isolazionismo riemergono.
Unici barlumi di speranza, questi diritti dell’”Uomo”, declinati dunque al maschile e inconsciamente esclusivi, sono divenuti e sono stati rivendicati come “i diritti degli umani”, includendo ormai anche le donne e i bambini, eterni esclusi.
Anche se il preambolo della Costituzione francese del 27 Ottobre 1946 proclamava che la legge “garantisce alle donne in tutti i settori, diritti uguali a quelli degli uomini” (art. 3), fino al 1965 le donne dovevano chiedere ai propri mariti l’autorizzazione per poter esercitare una professione, per presentarsi ad un esame e persino per sostenere l’esame per la patente.
In altre parole, fino a 54 anni fa ci trovavamo nelle stesse condizioni dei Sauditi di oggi.
La forte percentuale di donne nei movimenti popolari odierni ha colpito gli osservatori.
La femminilizzazione del mondo del lavoro rientra nel novero dei cambiamenti più radicali degli ultimi cinquant’anni, soprattutto alla base della priamide sociale.
In Francia “le lavoratrici rappresentano il 51% della forza lavoro subordinata formata da operai e dipendenti” (“Le soulèvement français”, Le Monde diplomatique, Gennaio 2019, Pierre Imbert).
La presenza delle donne è altrettanto significativa nella libera professione.
In Francia le avvocate rappresentano il 54% della professione su 67.000 avvocati in totale, di cui 30.000 solo nell’Albo di Parigi.
L’Accademia Francese, istituzione responsabile della difesa della lingua francese, è sul punto di autorizzare l’uso di nomi di mestieri al femminile.
Gli avvocati, al femminile, sono ormai chiamati “avvocate”.
Quelle che dirigono gli Ordini rivendicano a poco a poco il titolo di “Consigliere”.
Sono stata la prima a rivendicare questo titolo al Consiglio dell’Ordine di Parigi.
I social media costituiscono, nonostante tutto, un mezzo per le donne di far cessare le discriminazioni e raggiungere una reale uguaglianza di diritti.
Il movimento “#me too” e altri sono una chiara dimostrazione, certo a volte esagerata, d’una parte della popolazione la cui opinione è ormai emancipata.
Le donne rappresentano in Europa il 55% dell’elettorato.
Esse sono tuttavia poco rappresentate nelle cariche di più elevata responsabilità nelle imprese e in politica.
Le nostre società predicano l’eguaglianza ed il rispetto dei diritti umani.
Esortano le donne e gli uomini a continuare a camminare insieme, di rifiutare una visione restrittiva che non condurrà che ad una regressione dei diritti umani.
“Il rimpianto di un’età dell’oro”, dice Valérie Charolles, filosofa e insegnante specializzata in “questioni politiche”, è forse solamente il frutto di un indebolimento della posizione degli uomini nella società.
È nostro compito progettare insieme una società nuova dove i diritti dell’uomo divengano definitivamente umani.
Dove i diritti umani proclamino con forza ciò che è ancora calpestato nelle nostre società: la libertà, l’uguaglianza e la fraternità.
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