
L’oltre dell’altro
di Massimo Corrado Di Florio
In questi giorni la stampa italiana s’è scatenata contro alcune sentenze, colpevoli, secondo quanto riportano i giornali (non tutti), di aver sanzionato le vittime piuttosto che i responsabili dei delitti.
Non entro nel merito di nessuna delle pronunce in questione. Vorrei però esaminare una di queste sentenze (quella della Corte di Appello di Ancona del 23 novembre 2017) al solo scopo di comprendere, se e in che misura, il linguaggio adoperato dal Collegio, tutto al femminile, possa essere considerato, in qualche modo, particolarmente duro quando non discriminante e/o sessista. Chiariamo subito che questa notizia (un po’ come tutte le altre del medesimo genere e tenore) “fa notizia” in quanto trattasi di provvedimenti adottati da magistrate. Qualcuno negherà che l’eco mediatica sia attribuibile al “genere” del giudice ma, tant’è. Tutti liberi di pensarla in piena libertà. Le opinioni, come la mia, si rispettano. Le sentenze, anche.
Nelle battute finali della “incriminata” sentenza della Corte di Appello di Ancona (che ha mandato assolti i due imputati “perché il fatto non sussiste”), ma sempre secondo quanto riportano i giornali, si legge che “in definitiva, non è possibile escludere che sia stata proprio” lei “a organizzare la nottata ‘goliardica’, trovando una scusa con la madre” e si afferma che al giovane “la ragazza neppure piaceva, tanto da averne registrato il numero di cellulare sul proprio telefonino con il nominativo di ‘Nina Vikingo’, con allusione a una personalità tutt’altro che femminile, quanto piuttosto mascolina, che la fotografia presente nel fascicolo processuale appare confermare”.
Il putiferio si è scatenato perché, almeno così pare, la pronuncia assolutoria è stata fatta coincidere con la non avvenenza della ragazza: “Troppo mascolina. Poco avvenente. E quindi è poco credibile che sia stata stuprata, più probabile che si sia inventata tutto. Un ragionamento inaccettabile in una sentenza di tribunale. Per di più se a firmarla sono tre giudici donne. Che scelgono, così, di assolvere in appello due giovani condannati in primo grado a 5 e 3 anni per violenza sessuale. Il verdetto è stato annullato con rinvio dalla Corte di Cassazione, come richiesto dal procuratore generale. Per cui il processo di appello è da rifare”. E’ quanto si legge sul quotidiano La Repubblica sul caso di una ragazza peruviana che ha visto mettere in dubbio le sue parole con motivazioni legate al suo aspetto fisico dalle tre magistrate. (
http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Sentenza-shock-ad-Ancona-Ministero-della-Giustizia-manda-gli-ispettori-3149120a-965b-4383-b01a-162f168c4e8e.html ).
Ora, al di là del fatto che la sentenza è stata cassata con rinvio (così riferiscono le cronache), ciò che rileva è capire, per l’appunto, se effettivamente le cronache hanno colto nel segno, ovvero se, ancora una volta, s’è trattato di notizia da urlare. Va di moda.
“Il verdetto è stato annullato con rinvio dalla Cassazione come richiesto dal procuratore generale che ne ha evidenziate incongruenze e vizi di legittimità. Per cui il processo di appello dovrà ora essere rifatto. Ma intanto la sentenza bocciata ha fatto saltare sulla sedia più di magistrato della Suprema Corte. Perché leggendone il testo sembra che a influire sulla decisione delle tre magistrate sia stato proprio l’aspetto fisico della donna“, conclude il quotidiano.
La parte “incriminata” della sentenza, in verità riferisce semplicemente di quanto annotato in atti (il nominativo…“VIKINGO” attribuito da uno degli imputati alla ragazza) e di quanto la documentazione fotografica “presente nel fascicolo processuale appare confermare” (una mera allusione). Nulla di più e nulla di meno.
“Sembra che a influire sula decisione delle tre magistrate sia stato proprio l’aspetto fisico della donna”. Che assurdità.
Occorrerebbe dar prova di maggiore onestà intellettuale, prima di avventurarsi in tali considerazioni. La sentenza, infatti (e invito gli strilloni di turno a leggerla con maggiore attenzione e coscienziosità), seguendo un più articolato percorso fattuale e logico, in nulla autorizza i commentatori a ritenere che l’assoluzione dei due imputati sia da ascrivere all’aspetto fisico della “vittima”. C’è da domandarsi, allora, perché si sia inteso dare risalto a una (forse) sfumatura elevandola al rango di profilo motivazionale assorbente. Credo che la risposta la si possa rintracciare nella necessità di far apparire scandaloso ciò che obiettivamente non è.
La “notizia” assume poi una connotazione ancora più gustosa quando si scopre che “tre magistrate” sono state indotte a decidere contro una donna in virtù dell’aspetto fisico della donna stessa. Una sorta di discriminazione di genere nel genere, quasi una forma sottile di sessismo e, nello stesso tempo, la creazione di un pregiudizio proprio nei riguardi del sesso femminile colpevole di aver deciso nei riguardi di una donna ma non in suo favore. Una aspettativa delusa. Paradossale.
Di certo fa più notizia plasmare a proprio piacimento un fatto e farlo diventare, infine, una notizia anzi, La Notizia. La ben nota storia: è scoop un uomo che morde un cane mentre non ha storia un cane che morde un uomo. Siamo alle solite. Il pubblico necessita di mostri e mostruosità, indipendentemente dal fatto che, nella realtà, i mostri esistano per davvero. L’importante è seguire un flusso.
Son partito dalla notizia (molto ben plasmata ad arte) per cercare di descrivere un moto circolare, una lenta ma inesorabile ripetizione di eventi che, esattamente come l’alternarsi più o meno preciso delle stagioni, o di quel che resta di esse, ci assale. Mi verrebbe da dire “periodicamente” ma sarebbe una ridondante, quanto inutile sottolineatura del ripetersi. Mi riferisco all’attuale clima. Non meteorologico intendiamoci, seppure anche quello non ci sta risparmiando guai.
Che accade? Cosa sta succedendo a queste nostre povere anime? Mi sembra di essere in una perenne porta girevole e, per dirla tutta, mi pare di appartenere ad un esercito di monadi che vagano, senza meta precisa, in tondo, circolarmente. Quel che è certo è che, come afferma il capo degli eunuchi allo Scià di Persia, ammalato di malinconia, tutto è parte della medesima legge del cambiamento la quale, pur mostrandoci ad essa obbedienti, ci conduce verso un continuo non cambiar nulla. I personaggi sono mirabilmente descritti nello splendido romanzo di Joseph Roth “La milleduesima notte”. E sempre lì, ci si accorge che, alla fin fine, tutti ma proprio tutti necessitiamo di mostri. Per sopravvivere. Per distinguerci e difenderci.
“Io potrei magari fabbricare figure che abbiano cuore, coscienza, passioni, sentimenti, moralità. Ma nessuno al mondo ne vuol sapere. Quello che vogliono a questo mondo sono soltanto le curiosità, i mostri. Ecco quello che vogliono, i mostri”. (Joseph Roth, La milleduesima notte).
Ecco, se con uno sforzo in più riuscissimo a cogliere un solo barlume dell’oltre di ogni altro (contesto, uomo, pensiero, notizia), probabilmente avremmo fatto un favore a noi stessi, quanto meno per non esserci accontentati di quel che ci viene “regalato” per impedirci di riflettere.
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