
Art against violence
di Enzo Varricchio
Senza l’arte, la crudezza della realtà renderebbe il mondo insopportabile.
George Bernard Shaw
Sarà più facile sconfiggere il cancro che estirpare la violenza dall’indole umana. Essa è figlia della paura, del timore verso ciò che non si conosce o è diverso da sé. La conoscenza, la comunicazione, il dialogo culturale e interculturale, la contaminazione e l’integrazione sono l’antidoto contro questo male.
L’arte contiene tutti i componenti di questo antidoto. Il suo potere sta nell’esprimere messaggi e significati per immagini, senza l’uso delle parole. E’ un eccezionale mezzo di comunicazione, influenza le mode e l’opinione pubblica e può essere una potente arma educativa.
L’impegno contro ogni forma di violenza è diventata la cifra identificativa di molti esponenti dell’arte visiva contemporanea.
Lo stesso simbolo del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, le scarpe rosse, le Zapatos Rojos, nacque come progetto d’arte pubblica dell’artista messicana Elina Chauvet, che nel 2009 espose la sua installazione di 33 scarpe rosse a Ciudad Juárez, la città dove il tasso di femminicidio è così elevato da essere definita “la città che uccide le donne”.

Zapatos Rojos, Elina Chauvet, 2009
Nessun convegno, saggio o articolo avrebbe saputo con tanta immediatezza denunciare e urlare al mondo l’orrore che il femminicidio compie quasi quotidianamente, incitando a non arrendersi a questa piaga.
Il fotografo milanese Oliviero Toscani suscitò scandalo con il morto ammazzato in strada dalla mafia della campagna pubblicitaria per Benetton, ma quello scatto generò un moto di sdegno che pur incise sulla cultura dell’epoca.

Banksy, lo street artist più famoso del mondo, si è più volte scagliato contro la violenza delle superpotenze nei confronti di popoli inermi, come in “Family Target” del 2003 che mostra una famiglia sotto tiro di un cecchino, o in “Napalm”, in cui una bambina vietnamita straziata dall’esplosivo viene condotta per mano da Topolino e dal pagliaccio di Mac Donald, quale memoria dell’uso di armi non convenzionali su popolazioni inermi da parte degli americani.

Nel 2014 a Torino, il performer Raoul Gilioli installò “Pupilla”, un sarcofago nero che, all’avvicinarsi dello spettatore si illuminava per “svelare” al suo interno una performer nuda e imprigionata. Il tema era la segregazione, la chiusura. La donna è nuda, cioè indifesa, è imprigionata dalle violenze e dalle costrizioni della società. Solo se lo spettatore vuole interagire con l’opera, l’opera svela la donna “violentata”, come se fosse abbagliata dal clamore istantaneo dei media.

L’artista cubano Erik Ravelo nel 2015 lanciò la campagna sociale contro lo stupro e le mutilazioni genitali “End violence against women“, realizzata in collaborazione con il fotografo cinese Shek Po Kwan, entrando in un’accesa polemica con facebook del quale denunciava l’uso strumentale del corpo umano.
Un gruppo di artisti della Pashmin Art Gallery di Amburgo ha varato un progetto intitolato Art against violence che si propone di organizzare eventi allo scopo di ridicolizzare e criticare le manifestazioni violente della nostra società.
Insomma, facciamo arte e non la guerra!
PH credit: Erik Ravelo “End violence against women“, 2015
Dello stesso Autore su Ora Legale News:
https://www.oralegalenews.it/?s=Enzo+Varricchio
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