
Future
di Enzo Varricchio
Oggi il futuro è passato da un pezzo. Quando ritornerà?
Forse dorme tra i ghiacciai delle Svalbard dove si conservano le sementi originali di tutte le specie vegetali del pianeta prima che gli OGM le distruggano.
Questa volta noi di Ora Legale News facciamo come gli antichi aruspici, àuguri, oracoli e sciamani o, se preferite, come i moderni oroscopi; mettiamo le mani sulla materia evanescente dell’avvenire, senza sfera di cristallo né implicazioni religiose ma certi che, come scriveva Gianni Rodari, “ognuno avrà il futuro che si conquisterà” e che la conoscenza sarà lo strumento principale di questa conquista.
Per capire il futuro, bisogna partire dal suo passato, dalla storia del futuro.
L’idea di futuro nasce solo nell’Ottocento positivista di Jules Verne e H. G. Wells; fino alla fine di quel secolo, la gente affrontava cambiamenti di vita molto lenti e non immaginava che il domani sarebbe stato granché diverso dall’oggi.

Nell’antichità europea era avvertita la “retrotopia” (proiezione in un passato positivo) ma non la “distopia” (futuro oscuro e negativo) né l’”utopia” (futuro ideale), che muoverà i primi passi solo con Thomas More e con la Città del Sole di Campanella.
Il sostrato filosofico di tali prefigurazioni di matrice utopistica, quindi ricollegabile a un’idea di futuro identificata con quella di progresso, era assente nel pensiero antico per la prevalenza di una concezione della storia quale allontanamento da una mitica “età dell’oro”, dopo la quale era iniziato un regresso. Anche durante il Medioevo si riteneva che nulla di nuovo si potesse trovare al di fuori dei sacri testi e che la conoscenza fosse solo una lenta opera rielaborazione di essi, come afferma Jorge da Burgos, l’avvelenatore cieco di Il nome della Rosa.
Anche nell’antico Oriente non esisteva l’idea di futuro perché la storia era vista come una via circolare e ciclica percorsa dall’uomo che, in un apparente progresso, tornava invece sempre su i suoi passi iniziali, in un susseguirsi di avvenimenti sempre uguali, così come accadeva nel naturale corso del ciclo delle stagioni.

Se per gli antichi il futuro dipendeva dalla volontà degli dei, con il Secolo dei Lumi la sua costruzione cominciò a diventare un compito degli uomini.
Furono tuttavia le scoperte tecnico-scientifiche tardo ottocentesche a spalancare le porte alle prime narrazioni, all’epoca fantascientifiche, su viaggi lunari, armi atomiche, aerei, televisioni e persino anticipazioni sull’avvento di Internet.
Siamo al febbraio del 1909, quando Filippo Tommaso Marinetti pubblicava il “Manifesto del Futurismo”:
“Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!… Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri”.
Da quel momento, e sino alle soglie del Terzo Millennio, abbiamo ufficialmente abbandonato quel retrogusto romantico di fantasticare sul passato ed è stata tutta una cavalcata a spron battuto verso il futuro.
Invece, all’improvviso, con la grande crisi economica del 2008, il futuro è sparito, i giovani lo cercano, gli adulti lo ricordano ma nessuno fa niente per ricostruirlo.

“Si tratta di una sindrome trasversale che colpisce l’economia (dove stagnano gli investimenti), la demografia (con l’inverno demografico), la politica (che rincorre le urgenze quotidiane)”.
Nasce la “distopia” alla Blade Runner, l’avvenire assume i colori foschi dell’incerto, del temibile, dell’incognito, ciò che ne percepiamo finisce più per farci paura che stimolarci come dovrebbe l’idea stessa del domani.
Invece, proprio ciò che ci fa paura dovrebbe spingerci ad agire, e anche in fretta.
Facciamo dei facili esempi:
nel settore ambientale, prima di fare la fine di Atlantide (forse la più famosa delle retrotopie), dovremmo eleggere solo governi che pongano al centro della loro agenda e azione concreta la decarbonizzazione, gli incentivi all’utilizzo di energie alternative, et cetera;
in ambito scientifico, gli Stati dovrebbero istituire una banca dati open source per mettere in comune le conoscenze medico-farmacologiche, ingegneristiche, agroalimentari, etc., per evitare che un virus ci decimi, che un cibo ci avveleni, che un farmaco salvavita sia patrimonio di pochi, prevedendo dei meccanismi di remunerazione collettiva per gli scienziati e le aziende che investono in ricerca;
in ambito sociale, occorre assolutamente evitare che prosegua il terribile processo di privatizzazione di fatto dei “beni collettivi”, o “comuni” che dir si voglia. Prendiamo l’acqua, abbiamo fatto anche un referendum e ora sappiamo che l’acqua degli acquedotti è un bene pubblico ma ormai quasi tutti beviamo acqua nelle inquinanti bottiglie di plastica perché pensiamo sia più pura, perché va di moda, perché possiamo permettercelo. Domani sarà la volta dell’aria, con tutte queste polveri sottili, tra un po’ ci venderanno aria della Val Gardena da sniffare nell’autobus.
Ognuno avrà il futuro che si merita.
La giustizia è un grande tema del futuro: dopo le “Davigate”, dopo il giustizialismo e il processo senza fine, ci saranno ancora gli avvocati penalisti liberi professionisti oppure anche i difensori diverranno pubblici funzionari delegati dalle stesse Procure?
Aprimmo il primo numero di Ora Legale News offrendo il nostro contributo per ricostruire la giustizia crollata come oggi apriamo le colonne del nostro giornale a coloro che vorranno immaginare e costruire un domani migliore, più giusto, più felice per tutti.
Una cosa è certa. Senza utopia non si fa la storia.
Articoli dello stesso Autore in Ora legale News:
https://www.oralegalenews.it/?s=Enzo+Varricchio
Sullo stesso argomento:
https://www.corriere.it/opinioni/18_marzo_04/ricostruire-insieme-l-idea-futuro-perduta-b9d1d610-1f11-11e8-8d1d-1a26021d6049.shtml?refresh_ce-cp
Image credit: https://ischool.startupitalia.eu
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