Diario di una morta per fame
di Massimo Corrado di Florio
“Preferisco avere all’incirca ragione che precisamente torto” (J.M. Keynes)
L’uomo affamato difetta di fantasia, ossessionato com’è dalla sordida necessità di nutrirsi. Per farlo, necessita di scambiare le proprie forze con chi possa utilizzarle. Modi diversi di lavorare dove il do ut facias altro non fa che esprimere la crudezza del fare per mangiare.
Certo, la fame appartiene alle più variegate declinazioni del vivere umano. In fin dei conti si nasce affamati e il primitivo modo di richiedere cibo, pur senza lavorare ma pur dovendo faticare per sopravvivere, è il pianto. Finite le lacrime, finito il pianto e, con esso, la comunicazione. Inizio della pancia vuota e del dolore acuto, fisico. Lame di fuoco nelle viscere. Forse, anche oggi, non si mangia. Fa specie parlare di fame quando si deve parlare di lavoro? Non credo. Per fame si lavora ad ogni costo e per qualunque costo.
Un alveo intuibile. La pancia vuota. Quella che fa malissimo e però da tenere così come se fosse la pelle tirata e tesa di un tamburo umano. Noi, in questo occidente opulento non possiamo saperlo. Al più ci è stato raccontato. Le storie di guerre lontane e di malattie affamate di corpi affamati. Sbiadite sensazioni e ricordi in bianco e nero. Ciò che non si è messo in conto si stenta a credere che sia vero.
Intanto, all’alba mi devo alzare stirando quelle ossa -che il giorno prima e quello ancora prima e poi prima ancora di ieri e così sino a un quando che nemmeno ricordo più- si erano già consumate. Come le mie mani. Consumate e rugose. Che quando mio marito mi chiede una carezza nemmeno gliela faccio più perché mi vergogno.
Il mio lavoro. Anzi, il mio massacro senza sosta in questi campi bollenti, senza più odore se non quello della mia fatica che mi spegne come una candela. Una pausa per bere e il mio cuore che batte e batte e batte quasi mi incita a riprendere ma in realtà mi sta uccidendo. Muoio di lavoro.
Per vivere di me, esausta e senza più bellezza. Sfiorita anzitempo, gonfia come una bestia da soma. Il mio fiato che va via insieme col sudore che mi riga questo volto bruciato e stanco. Grinze di lavoro che arranca come questo corpo che mi stanca. Ogni giorno all’alba stiro le ossa doloranti, insieme col mio respiro greve che affamato d’aria mi sta lasciando. Il mio lavoro senza più dignità. Anche la fame mia è sfinita. Mi spengo. Vado via per fame pur avendola placata per sempre. Che vita infame.
Mi muoio stanca senza nemmeno esalare un ultimo respiro poiché nemmeno quello mi resta. Ho lavorato per fame e di fame di vita muoio. Morta per sempre.
Dedicato a chi non ha mai avuto alternative.
Paola Clemente fu stroncata da un infarto mentre lavorava all’acinellatura dell’uva (https://bari.repubblica.it/cronaca/2017/02/23/news/caporalato_6_arresti_per_morte_palola_clemente-158977625/)
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