D.E.I. acronimo di UMANI

D.E.I. acronimo di UMANI

di Anna Bossi (Insegnante di scuola media superiore in Milano – FronteVerso Network)

“Ciascuno chiama idee chiare quelle che hanno lo stesso grado di confusione delle sue.”
Marcel Proust

DEI, acronimo degli UMANI, nel suo dipanare relazioni di rispetto e comunicazione tra appartenenti alla medesima comunità glocale per parlarsi con il linguaggio del riconoscimento reciproco.

Il linguaggio: strumento potente nelle mani dell’uomo. Strumento da maneggiarsi con cura. Dall’uso che se ne fa possono scaturire risultati decisamente differenti, se non, addirittura, contrastanti. Se utilizzato in modo corretto può, nelle relazioni, essere garanzia di equità e può favorire il superamento delle diversità, agevolando processi di inclusione. Mentre con un uso improprio si possono creare barriere e divisioni, talvolta insormontabili e definitive.

La comunicazione, leggiamo nella definizione del vocabolario, è rappresentata dal processo e dalle modalità di trasmissione di un’informazione da un individuo a un altro, attraverso lo scambio di un messaggio elaborato secondo le regole di un determinato codice comune.

Tra questi codici l’essere umano ha sviluppato principalmente il linguaggio nella sua forma verbale e scritta. Il linguaggio è la cosa che ci rende umani. Noi siamo gli unici animali che hanno il potere della parola. Ma in quest’epoca dove la tecnologia della comunicazione dà a chiunque la possibilità di far sentire la propria voce, chi potrebbe arrivare a pensare che il messaggio comunicato non abbia nessuna garanzia di essere compreso nel suo significato originario?

Del resto anche chi riceve il messaggio spesso si chiede se c’era proprio tutto questo desiderio di ascoltare quel che è stato proclamato senza freni, senza limiti e senza pudore, ma questo è un altro discorso.

Guido Guerrieri, personaggio del romanzo di Gianrico Carofiglio, Ragionevoli Dubbi, legge da un ipotetico manuale: “Le nostre parole sono spesso prive di significato. Ciò accade perché le abbiamo consumate, estenuate, svuotate con un uso eccessivo e soprattutto inconsapevole. Le abbiamo rese bozzoli vuoti. Per raccontare, dobbiamo rigenerare le nostre parole. Dobbiamo restituire loro senso, consistenza, colore, suono, odore. E per fare questo dobbiamo farle a pezzi e poi ricostruirle.”

Questa operazione, che dovrebbe esser destinata a ridare dignità, significato e, dunque, forza alle parole, può portare a risultati aberranti se nella volontà di chi si esprime c’è l’intenzione di ingannare, di fuorviare.

Spesso l’informazione utilizza l’espediente di omettere un aspetto del messaggio, focalizzando per esempio l’attenzione sulla prospettiva positiva di una notizia, tralasciandone i risvolti negativi e quindi, di fatto alterandone il vero significato. Ecco, per esempio, che quando si parla della bozza di testo della Commissione Europea sulla “Tassonomia Verde”, l’energia nucleare assume carattere “sostenibile” dal punto di vista ambientale. Varrebbe probabilmente la pena di andare più a fondo della questione per capire che dietro ai vantaggi messi in evidenza ci sono rischi che potrebbero costare un prezzo molto alto.

L’uso di un linguaggio estremamente tecnico e comprensibile solo a pochi ascoltatori eletti può essere invece l’espediente di chi, dall’alto della sua presunta superiorità, non ha nessuna volontà di essere capito, di chi vuole escludere anziché includere. C’è pure chi, approfittando della confusione generata dall’imperante infodemia, afferma spudoratamente il falso, facendo conto sulla difficoltà di essere ragionevolmente smentito.

Ma il linguaggio deve essere considerato strumento di comunicazione, quindi di inclusione, oppure di confusione, quindi di allontanamento e separazione? Il primo passo verso la comprensione è quindi la cura dello strumento comunicativo che deve coniugare semplicità e trasparenza alla correttezza e all’integrità. Anche Gustavo Zagrebelsky, a conclusione del suo ideale decalogo dell’etica democratica, mette l’accento sulla “cura delle parole”.

Voglio concludere con le parole di Vera Gheno, una delle più importanti sociolinguiste e traduttrici in Italia: “In un mondo così sovraccarico di parole, perché è vero che è sovraccarico, siamo circondati continuamente da parole, io vi invito a fare una cosa: riprendiamoci il potere della parola giusta. Questa è una cosa che possiamo fare tutti. Perché non implica imparare cose strane. Implica il prendere in mano una competenza che abbiamo tutti, che è quella della parola, e usarla meglio.”

Image credit: Joshua Woroniecki da Pixabay

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