La dignità del lavoro
di Antonio Pascucci e Sabrina Pisani (Milano – FronteVerso network)
“Fino a che non c’è la possibilità per ogni uomo di lavorare e studiare e trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica“.
Così affermava Piero Calamandrei, uno dei Padri costituenti e noto giurista, in un discorso agli studenti nel 1955.
I Padri costituenti hanno voluto fondare la Repubblica italiana sul lavoro. Non a caso nel testo della Costituzione i termini “lavoro” e “lavoratori” sono quelli più ricorrenti dopo “legge”. Il solo termine “lavoro” è citato ben 19 volte e un terzo dei Principi Fondamentali della Carta è dedicato alla sua tutela.
Lavoro inteso non solo come fonte di reddito, ma come fattore indispensabile per la realizzazione della persona e per la costruzione di unità e coesione sociale.
Nel testo costituzionale, infatti, il termine lavoro è legato a doppio filo al concetto di dignità della persona.
L’articolo 36 afferma che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Persino l’articolo 41, baluardo della libertà di impresa, dopo aver sancito che l’iniziativa economica privata è libera, precisa che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
Oggi, a oltre settanta anni dalla promulgazione della Costituzione, in un periodo caratterizzato dalla mancanza e dalla precarizzazione del lavoro nonché dalle sempre più frequenti e ormai fisiologiche violazioni delle norme che lo disciplinano, le parole dell’insigne giurista sono ancora attuali e devono valere come un vero monito per tutti, affinché si possano porre le basi per consentire a ogni uomo, sia nella sua individualità che quale componente di un nucleo familiare e della collettività, di condurre una esistenza “libera e dignitosa”, come afferma il testo costituzionale.
Ci sono, ovviamente, anche esempi positivi di affermazione della tutela della dignità del lavoro, come il recente riconoscimento da parte della Corte di Cassazione dell’applicazione delle norme sul rapporto di lavoro subordinato ai cd. riders a chiusura di un iter processuale che ha avuto un’ampia eco mediatica.
I riders, lavoratori che sfidano i pericoli del traffico urbano per consegnare in bicicletta o, per i pochi che possono permetterselo, a bordo di scooter, beni a terzi – spesso pranzi o cene – in tempi brevissimi, per poter aumentare il numero delle consegne e quindi il compenso, sono stati considerati come l’esempio più evidente, ai giorni nostri, di sfruttamento lavorativo.
Il riconoscimento delle tutele del rapporto di lavoro subordinato in loro favore, sancito con al sentenza n. 1663/2020 della Corte di Cassazione, ha tutelato lavoratori, in maggioranza giovani, facendoli emergere da quella zona d’ombra, purtroppo ancora molto vasta, in cui le prestazioni lavorative non ricevono la tutela prevista dalle basilari norme del diritto del lavoro.
Un bel passo avanti nel solco tracciato da Calamandrei, ma la strada è ancora lunga.
Image credit: Lene Kilde
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