
Anime a nudo
di Tiziana Nuzzo (Avvocata – Bari)
Speciale TG1, qualche tempo fa.
Parlano solo i detenuti. Le loro voci e null’altro. Uomini, donne, anime completamente a nudo.
Le loro storie, le loro vite, le loro interminabili, lunghissime giornate raccontate di botto, tutto di un fiato, ingoiando avidamente quei pochi momenti regalati per parlare, per esprimersi, per tirar fuori finalmente ciò che hanno dentro.
Un urlo, un pianto, un sorriso, forse a volte una speranza.
A volte, perché in carcere si smette di sperare, perché in carcere si è morti dentro, il tempo non passa mai e ruba ciò che è rimasto di te. Ruba la tua passione per la lettura, non si può leggere in quel budello lungo e stretto se i tuoi compagni di cella decidono di far altro.
Ruba il tuo senso del pudore e la tua privacy, i tuoi bisogni li fai davanti agli altri, e gli altri li fanno davanti a te. Magari mentre mangi.
Ruba la voglia di lavarsi e di togliersi di dosso colpe ed odori, la butta poi in un micro lavandino, dove lavi mani, piedi, faccia, panni, stoviglie, tutto.
Ruba la voglia di piangere, perché in carcere non ti puoi permettere di apparire debole, in carcere c’è la guerra, quotidiana, vince solo chi è più forte.
Ruba la tua salute, per il cibo pessimo, per quei liquami che piovono sulla tua testa, nella tua cella, da quelle condutture a vista, per quei materassi sporchi di sangue e piscio, per quegli scarafaggi che cercano affannosamente casa tra le dita dei tuoi piedi o tra i tuoi capelli, per quelle interminabili giornate passate a letto per ore intere o fermi, in piedi, sulla stessa, identica, piccola mattonella.
Ruba l’aria e il sole, e con questi la vita, il colorito, la voglia di sorridere con gli occhi, con la bocca, con il cuore, con tutto te stesso.
Ruba il futuro perché non concede di lavorare se non a pochi e per pochissimo tempo. Ruba la speranza, perché poi non si sa proprio cosa fare a fine pena, come reinserirsi nella società sempre pronta ad emarginarti, come vivere, da uomo nuovo, senza aver imparato nulla.
Ruba la fiducia negli altri, perché da quei compagni, che non ti scegli, devi imparare a difenderti.
Ruba il senso del tempo, confonde il giorno con la notte, ti ficca in testa qui rumori che non dimenticherai più: le stoviglie sbattute contro le sbarre, le chiavi che girano pesantemente nella porta di ferro. E insieme a qui rumori, porterai sempre con te le grida di chi soffre, di chi chiede aiuto, di chi è soccorso troppo tardi e muore, solo.
Ruba le tue parole, perché in carcere impari ad usarne solo poche, quelle indispensabili. Le altre non servono.
Non ruba invece i ricordi, che diventano tortura.
Ti lascia in cambio la paura, paura di perdere quel poco che hai, la famiglia, la tua donna, il tuo compagno, i tuoi figli, la tua dignità.
Non credo che dimenticherò quello che ho visto ieri notte, quei volti, quegli occhi, quella lenta compostezza nel raccontare il proprio dolore, quella voglia di vita, perdono e riscatto, non credo di riuscire a pormi, anche questa volta, domanda diversa: ma a cosa serve e a chi serve farli “vivere” così?
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Di Tiziana Nuzzo, Ora Legale News
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