Residenza alternata in Francia

Residenza alternata in Francia

di Andrea Mazzeo (Psichiatra in Lecce)

Una panoramica di alcuni studi internazionali

La legge francese sull’affidamento condiviso (garde partagée) è del 2002 (Code civile Titre IX, Artt. 371-374-2).
In precedenza il doppio domicilio del minore era vietato; molte famiglie separate però, di comune accordo e venendo incontro al desiderio dei figli, avevano adottato questa modalità di vita del minore. Sulla scorta delle pressioni esercitate da associazioni di genitori separati (non dei soli padri separati come in Italia, e la differenza non è da poco) per una soluzione legislativa della questione, e anche di studi psicologici che confermavano la positività di questa soluzione quando adottata d’intesa tra i coniugi e venendo incontro ai desideri del bambino, il Parlamento francese giunse all’approvazione della legge sull’affidamento condiviso.

Uno dei lavori sulla residenza alternata è discusso nel testo di Gérard Poussin ed Elisabeth Martin-Lebrun, dal titolo Conséquence de la séparation parentale chez l’enfant.
Prende in esame 17 casi di bambini in residenza alternata dimostrandone gli effetti positivi.
In un’intervista del 2006 il Prof. Poussin aggiunse che devono esserci condizioni precise per proporre la residenza alternata, prima fra tutte la non eccessiva distanza geografica fra le due abitazioni, in maniera che il bambino possa mantenere le sue abitudini (scuola, amici, ecc.), poi il basso livello del conflitto genitoriale e infine l’età del bambino; concluse affermando che non bisogna separare il bambino di età inferiore a due anni dalla sua figura di attaccamento per più di 24 ore.

La residenza alternata pone degli interrogativi ai quali bisogna dare risposta”, proseguì il Prof. Poussin, “bisogna analizzare le sue motivazioni più profonde. Si tratta di un progetto comune?
È una soluzione per rivedere spesso il proprio ex-partner? Una volontà di contrariare l’altro? La sola scelta possibile in un contesto di crisi? Bisogna portare alla luce il conflitto, non “mettere la testa sotto la sabbia”. Con la residenza alternata stiamo facendo il reale interesse del minore, diviso in due nelle teste dei suoi genitori e attraverso le false buone ragioni? La modalità di affidamento può essere mero oggetto di strumentalizzazione tra i due genitori, un modo per mantenere una forte relazione con l’ex-partner dal quale non ci si vuole staccare”.

Nel 2010 il Prof. Poussin e altri autori (Catherine Dolto, pediatra e Claire Brisset, Défenseur des enfants) hanno pubblicato un libro dal titolo significativo: “Pour ou contre la garde alternée?”; in questo testo Poussin scrive: “La residenza alternata non può affatto essere pensata con la stessa modalità per età differenti. Ci sono differenze evidenti tra un bambino molto piccolo, un bambino nel periodo scolare e un adolescente”.
Ma soprattutto rileva che “prima del 2002, poiché il giudice non poteva imporre la residenza alternata, i genitori dovevano mettersi d’accordo e comunicare tra loro…oggi, senza comunicazione, i benefici della residenza alternata sono annullati”.

Per la D.ssa Catherine Dolto “se la madre non è del tutto disfunzionale è più sicuro per il bambino essere in residenza principale presso di lei fino ai 6 annni di età, e vedendo anche il più possibile suo padre. Se il bambino vive in un unico luogo, ci sono meno rischi di fratture che metterebbero la sua identità a dura prova”.

Infine Claire Brisset rileva che “i più piccoli hanno bisogno di tre anni per uscire dalla fase bébé, un periodo essenziale. Si chiede a un essere incompiuto di imparare cose estremamente difficili, camminare, parlare, comprendere che lui stesso è distinto dagli esseri che lo circondano, in particolare da sua madre… Un bambino più grande può fare qualche andata e ritorno con la sua storia, ma un bambino così piccolo non ha modo di concettualizzare ciò che gli arriva: può metabolizzare, trasformare, ma non ha né la distanza critica nè la capacità di ragionamento ncessarie per analizzare gli avvenimenti. Egli subisce

Image credit: Kerstin Wießer-Buchholz da Pixabay

L’esperienza statunitense:

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