
Bambini senza sbarre
di Michela Labriola (Avvocata in Bari – vice responsabile e coordinatrice della rivista Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia. Diritto e processo)
Il 20 novembre, nella Giornata Mondiale dei diritti dei bambini è necessario rivolgere uno sguardo a quei minori che sono figli di genitori detenuti “invisibili” alla società.
Sono passati due anni esatti da quando, il Ministero della Giustizia, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e Bambinisenzasbarre Onlus si sono seduti intorno ad un tavolo per siglare il protocollo di intesa sulla Carta dei diritti dei Figli di genitori in stato detentivo.
Chi abbia avuto modo di frequentare gli ambienti carcerari non potrà non aver notato come gli istituti di pena sembrino delle torri isolate dal resto della società e all’interno delle quali appaiono bandite le emozioni ed i sentimenti positivi.
Lo stigma che circonda i bambini per le “colpe” dei genitori e la difficoltà nel comprendere, da parte loro, lo tsunami che si è abbattuto sulla propria famiglia, rendono questi soggetti già fragili ancor più vulnerabili in quanto sottoposti ad altre discriminazioni. Non potranno usufruire di quella tutela approntata dallo Stato in favore dei figli minori prevista sia dalla normativa interna sia da quella transnazionale se non in modo molto parziale.
Nel novembre 2018, il Protocollo si rinnovava partendo dalla necessità di rafforzare ed «implementare buone prassi e di individuare nuovi strumenti di azione (…) di favorire il mantenimento dei rapporti tra genitori detenuti e i loro figli, salvaguardando sempre l’interesse superiore dei minorenni; (…) Tutelare il diritto dei figli al legame continuativo e affettivo col proprio genitore detenuto, che ha il diritto/dovere di esercitare il proprio ruolo genitoriale; (…) Garantire che siano proposti alle detenute madri ed ai detenuti padri percorsi di sostegno alla genitorialità».
Il tema della responsabilità genitoriale, quotidianamente attenzionato, non sempre ha focalizzato il l’indagine col microscopio puntato su tutte le sue molteplici pieghe: dei figli delle detenute e dei detenuti si parla poco.
Per comprendere la portata del fenomeno, andrebbe effettuato un esame che, ancorché in apparenza ovvio, rivela la presenza, dietro le sbarre, di una genitorialità monca, che si presenta senza garanzie di continuità – causata da un allontanamento che non deriva, quasi mai, da inadempimento parentale – ma dovuta alla mancanza assoluta di fisicità, alla privazione durante la crescita, al non festeggiare i compleanni, il Natale, le nascite, ma anche all’assenza di aiuto nei momenti di difficoltà.
Anche in questo ambito, come in altri di rilevanza costituzionale, l’interrogativo si sposta sulle priorità valoriali.
Tra il diritto dello Stato alla sicurezza nazionale, contro le azioni criminali, quindi, al garantirsi la deterrenza dei reati, e il diritto del minore ad una genitorialità serena e senza pregiudizio.
Indubbiamente, il trascurare lo studio sulle emozioni e i disagi filiali è anche il frutto del biasimo della collettività, che raramente ha permesso di affrontare e risolvere il problema.
Infatti, la giurisprudenza ha operato un distinguo ed effettuato una scelta tra la natura e la gravità del reato per cui si è detenuti e l’agevolazione e la facilitazione della relazione genitoriale in carcere, atteso che le particolari esigenze che sottendono al regime del carcere duro legittimano le limitazioni della possibilità di colloqui (Cass. pen., sez. I, 23 maggio 2017, n.28269, in Dir. Giust., 2018, 20 giugno) e, inoltre, i colloqui telefonici straordinari dei detenuti o degli internati con i figli minori possono essere autorizzati soltanto in presenza di situazioni di particolare rilevanza o urgenza (Cass. pen., sez. VI, 04 giugno 2010, n.32569 in CED Cassazione penale 2010).
Il confine tra un soggetto condannato ad una pena detentiva e la sua possibilità, volontà o capacità di essere un bravo genitore si erge su un campo minato. Disinnescare le micce nell’interesse del minore comporta fatica e impegno economico.
A titolo esemplificativo, la logistica in cui sono inserite le sale colloquio all’interno degli istituti penitenziari, analizzando solo uno dei diversi aspetti, è sempre inadeguata.
È noto a pochi come le attese per parlare coi parenti possano essere lunghe intere giornate, in luoghi ristretti, con scarsità di servizi igienici, arredamenti spartani e non sempre a norma e, comunque, con l’accesso controllato dal personale carcerario che, per necessità ed ovvie ragioni di sicurezza, non può autorizzare l’ingresso di strumenti informatici, ivi compresi i telefoni cellulari.
Si pensi, a tal proposito, ai bambini più piccoli, tenuti a bada a lungo e impossibilitati al movimento, la stanchezza e la insofferenza condizioneranno l’incontro ed i colloqui con la madre o il padre detenuti.
L’altro numero di parenti che accedono ogni giorno dà la misura sia del sovraffollamento delle nostre carceri, sia della difficoltà di adeguare gli spazi come zone di vera e propria accoglienza della sofferenza.
Il protocollo si preoccupa di organizzare l’edilizia in modo che in tutte le sale d’attesa sia attrezzato uno “spazio bambini”, dove i minorenni possano sentirsi accolti e riconosciuti «in questi spazi gli operatori, daranno ospitalità e forniranno ai familiari l’occorrente per un’attesa dignitosa (come scalda biberon o fasciatoio) e, ai più piccoli, strumenti (tipo giochi o tavoli attrezzati per il disegno) per prepararli all’incontro con il genitore detenuto; in ogni sala colloqui, se pure di modeste dimensioni, sia previsto uno “spazio bambini” riservato al gioco e, laddove la struttura lo consenta, sia allestito uno spazio separato destinato a ludoteca. Questa previsione si attuerà progressivamente, rendendola effettiva almeno nelle Case di reclusione; le strutture siano accessibili ai minorenni con disabilità o con altre particolari esigenze di accesso».
In alcune carceri è già stato previsto un sistema di sostegno alla genitorialità e di cura delle relazioni familiari nel loro complesso.
In certe aree è stata allestita una strutturata di accoglienza, ascolto e attenzione a tutto il nucleo familiare, si è operata la formazione permanente per il personale penitenziario. «Lo Spazio Giallo è il luogo dove i bambini si preparano all’incontro con il genitore detenuto, assistiti da personale specializzato, ma anche il luogo dove costruire nel tempo relazioni e percorsi di sostegno e accompagnamento alla difficile esperienza del carcere con i genitori detenuti e con i genitori liberi o gli altri familiari» (Lo “Spazio Giallo”. https://www.bambinisenzasbarre.org/all-project-list/genitorialita-in-carcere).
Sino all’anno 2018, il beneficio dell’assistenza esterna, da parte dei genitori, in favore dei figli minori di dieci anni, era condizionato dalla scelta di diventare collaboratore di giustizia. Ciò evidenziava la prevalenza di una tutela pubblica rispetto a quella privata, altrettanto, se non addirittura maggiormente, significativa, per chiarire: emergeva il preminente interesse dello Stato alla tutela della collettività sotto il profilo della sicurezza pubblica.
Una particolare attenzione su punto l’ha avuta la Corte costituzionale che, recentemente, ha ritenuto che subordinare il beneficio dell’assistenza esterna ai figli minori di dieci anni alla scelta di collaborare con la giustizia significa limitare in via assoluta e presuntiva la tutela del rapporto tra madre e figlio in tenera età al ravvedimento della condannata.
La concessione del beneficio resta però “pur sempre affidata al prudente apprezzamento del magistrato di sorveglianza chiamato ad approvare il provvedimento disposto dall’amministrazione penitenziaria” (C. Cost., 23 luglio 2018, n.174 in Guida al diritto, 2018, 34, 27).
Questa breve nota che introduce il testo del Protocollo siglato per la stesura della Carta dei diritti dei Figli di genitori detenuti si conclude sottolineando come la positività di un intervento importante sulla questione, oggetto della firma di quei partners, abbia portato, attraverso alcune indagini statistiche, a comprendere come una buona relazione tra i figli ed i genitori detenuti può rappresentare, altresì, una riduzione di recidiva dei reati, di contro, una relazione interrotta o condizionata tra il genitore recluso ed il figlio minore può portare ad una forma di emulazione da parte del minore se non viene posto nelle condizioni di ottenere «le chiavi di accesso» per la lettura della relazione genitoriale.
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