
Bigenitorialità falso mito
di Ida Grimaldi (Avvocata in Vicenza)
LA PROCURA GENERALE SULLA BIGENITORIALITA’: “NON HA DIGNITA’ COSTITUZIONALE”
Il principio di bigenitorialità non ha dignità costituzionale e cede a fronte del diritto fondamentale del bambino alla integrità fisica e alla sicurezza.
Così si è espressa la Procura Generale della Corte di Cassazione, con requisitoria del 16 febbraio 2021, a firma della Dr.ssa Francesca Ceroni, circa il ricorso avverso una sentenza della Corte D’Appello di Roma che confermava il collocamento di un minore in una casa famiglia, separandolo dalla madre che aveva denunciato violenza domestica.
Le sette pagine, da leggere tutte d’un fiato, condensano tutti i capisaldi del “best interest of child” e sfatano una serie di “falsi miti” che ruotano attorno al dichiarato “interesse del minore”, spesso passepartout generalizzato che porta a decisioni pregiudizievoli.
Primo tra essi quello della bi-genitorialità, un tema che sembra far confliggere gli psicologi con i giudici.
Va rilevato, infatti, che nei procedimenti per l’affidamento dei figli, la gran parte delle relazioni peritali è caratterizzata da un modus procedendi dei CTU avvitato attorno ad un concetto di bi-genitorialità perfetta ed al criterio dell’accesso, ovvero intorno al criterio che la competenza genitoriale migliore è quella che garantisce l’accesso all’altro.
Il diritto alla bi-genitorialità diventa così la finalità della consulenza tramite la quale esso viene trasformato, dagli psicologi forensi, in diritto primario, creando, così, una distorsione dei risultati delle relazioni peritali sottoposte all’attenzione del giudice.
Troppo spesso, tuttavia, i consulenti tecnici vengono delegati a valutazioni di comportamenti inappropriati al ruolo genitoriale, che sono di competenza del mondo giudiziario.
La Consulenza tecnica di ufficio, così, spesso surroga l’attività investigativa del giudicante con la conseguenza che le rituali procedure giuridiche (ascolto del minore, prove e testimonianze) vengono sostituite dalle procedure di una scienza psicologica che non fornisce conoscenze attraverso la raccolta di fatti, ma che offre l’interpretazione dei fatti rispondenti a criteri non giuridici e quindi non improntati ai principi di un processo equo (Elvira Reale, in “L’alienazione parentale nelle Aule Giudiziarie” Maggioli Editore 2018, a cura di G. Cassano, P.Corder, I.Grimaldi).
Ben venga, dunque, il monito della Procura Generale, che censura concetti evanescenti privi di base scientifica, quali l’alienazione parentale; che valorizza la preminenza dei comportamenti concreti posti in essere dai genitori; che stigmatizza il mancato ascolto del fanciullo; che rammenta il vincolo del legislatore nazionale al rispetto della convenzione di Istanbul. E e che, infine, chiarisce il vero significato del principio della bi-genitorialità.
Trattasi di un diritto non assoluto, ma relativo a determinate condizioni di esistenza della relazione genitori-figli, così come concepito sia a livello internazionale sia dal nostro legislatore.
Tale diritto, introdotto dalla legge n.54 del 2006, e recepito da detta normativa come diritto fondamentale del minore (e non dell’adulto), già sancito dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e successivamente dalla Carta di Nizza del 2000, si esplica attraverso una serie di doveri dei genitori che comprendono i compiti di cura, educazione, di attenzione, di mantenimento.
Anche la Corte di Cassazione, con sentenza del 30 luglio 2018, n. 20151, ha precisato che il diritto alla bi-genitorialità si configura, piuttosto che come un diritto, come un munus, sicché sia le prerogative dell’affidatario/collocatario sia il c.d. diritto di visita dell’altro genitore, sono funzionali alla corretta crescita del figlio, ed espressione dei più generali doveri genitoriali di cui all’art.147 c.c.
A buon diritto, dunque, la Procura Generale della Corte di Cassazione ribadisce che il fanciullo, nelle procedure che lo riguardano, deve essere considerato soggetto di diritti e non oggetto di diritti.
Il bambino ha, infatti, tutta una serie di diritti, come persona prima che come figlio, quali il diritto alla salute e alla sicurezza, il diritto allo sviluppo della sua personalità, il diritto alle relazioni che non sono solo parentali, ma anche sociali, amicali e scolastiche, fondamentali, assieme a quelle familiari, per la sua evoluzione.
Ricordiamo allora, tramite le parole di Stefano Rodotà (S. Rodotà, Diritto d’amore, Roma-Bari, Laterza, 2015, p.17), quanto pericoloso possa divenire il diritto “quando incontra la vita delle persone e si comporta come se non esistesse”.
Image credit: Ulrike Mai da Pixabay
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