
Conflitto o violenza?
di Andrea Mazzeo (Psichiatra in Lecce)
“La violenza domestica rappresenta l’anima nera del matrimonio, il suo versante demoniaco, la sua irriducibilità agli schemi tranquillizzanti e coartanti dell’armonia del focolare. Né si può occultare dietro al consolatorio schermo della ‘malattia’. … Di fatto in quanto societas la famiglia è fisiologicamente il luogo possibile di una specifica e variegata brutalità, inquadrabile quale violenza espressiva (cioè fine a se stessa) o strumentale (cioè un mezzo per indurre un soggetto a un certo comportamento)”
così Marco Cavina, Ordinario di Storia del Diritto medievale e moderno all’Università di Bologna.
L’autore fa risalire ad Aristotele la sistematizzazione, per così dire, dei poteri del capo famiglia nei confronti degli schiavi, della moglie e dei figli.
La concezione aristotelica venne “recepita e filtrata dalla cultura europea medievale in chiave cristiana” finendo con il sancire nella religione e nelle leggi il potere assoluto del marito sulla moglie e sui figli, in contrasto con la tradizione del diritto romano che in caso di percosse del marito sulla moglie prevedeva che quest’ultima potesse far valere il diritto di ripudio (Codex di Teodosio e Valentiniano) o chiedere sanzioni patrimoniali (Corpus Iuris di Giustinano) potendo arrivare ad affrancarsi dalla tutela finanziaria del marito.
Si deve arrivare al 1600 per vedere le prime leggi che vietano espressamente la violenza del marito sulla moglie; questo non in Europa ma “nelle colonie americane più religiose del New England, … nel Body of Law and Liberties del Massachussets”.
Le vicende separative nelle quali viene tirato in ballo il concetto di alienazione parentale (con tutte le sue varianti quali bambino alienato, allineato con un genitore; in una CTU ho letto colonizzato dalle menti degli adulti, in un’altra arruolato nella guerra contro un genitore, alcuni psicologi giuridici parlano addirittura di madre assorbente, bambino adesivo, appatellato, sino al leitmotiv più recente, il rapporto simbiotico) sono caratterizzate dal fenomeno del rifiuto del bambino di frequentare un genitore.
Come motivazione di questo rifiuto vengono riportati, dal bambino e dal genitore che cerca di proteggerlo, fatti attinenti a violenza in famiglia o addirittura ad abusi sessuali sui minori. Naturalmente degli eventuali reati se ne occuperà il giudice penale, ma vediamo cosa accade di solito nel processo civile e minorile.
Il CTU incaricato, obbedendo a non si sa quale scuola, teoria o altro, tende sistematicamente a ignorare le testimonianze, delle madri e dei figli, sulla presenza di violenza domestica nella vicenda separativa che è sottoposta alla sua valutazione.
Il pretesto utilizzato dai CTU in queste circostanze è che non compete ai tecnici l’accertamento della violenza ma al giudice penale; e su questo si può concordare. Ma nel proseguire l’accertamento peritale eludendo la presenza della violenza, ignorando le testimonianze, a volte drammatiche, di chi quella violenza l’ha subita, i CTU comunque si arrogano il diritto di effettuare, sia pure in negativo, cioè negandola, l’accertamento della violenza.
In questo modo la violenza viene dai CTU, del tutto arbitrariamente e abusando dei propri poteri, derubricata a conflitto.
La logica che guida queste CTU, espletate di solito da tecnici afferenti in qualche modo a qualche scuola di psicologia giuridica, sembra essere quella di rifiutarsi di effettuare l’accertamento dell’esistenza di violenza ma di ritenersi abilitati a effettuare tale accertamento in negativo, e cioè a certificare che in quella vicenda separativa non c’è violenza ma semplice conflitto.
Una logica molto illogica, mi si perdoni il gioco di parole. E mostrando in modo patente di ignorare la differenza tra conflitto e violenza.
Se davvero non compete al CTU l’eventuale accertamento della violenza, in positivo e in negativo, a fronte di testimonianze dei periziandi sulla presenza di violenza un CTU coscienzioso è tenuto a rimettere il fascicolo al giudice con la motivazione che l’accertamento peritale richiesto non può proseguire finché non venga accertata l’allegata violenza.
Credits: LoggaWiggler da Pixabay
di Andrea Mazzeo, su Ora Legale News
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