Dalla parola pronunciata alla parola trascritta

Dalla parola pronunciata alla parola trascritta

di Iacopo Benevieri (Avvocato in Roma)

Il processo penale si fonda sulle parole.
Nelle intercettazioni le parole vengono ascoltate e poi trascritte.
Ci fidiamo di questo passaggio dall’oralità allo scritto?
Cosa rischiamo di perdere dell’originario dialogo intercettato?

In un bellissimo libro di Luciano Canfora, “Il copista come autore“, leggiamo come l’antico monaco copista amanuense fosse il vero artefice dei testi che tramandava.
Costui era colui che materialmente scriveva il testo, con la conseguenza che qualsiasi errore o inesattezza si ripercuoteva nelle copie successive.
La filologia si occupa proprio di risalire indietro nel tempo fino a trovare l’archetipo del testo, cioè il più antico esemplare da cui sono discese tutte le versioni superstiti.
A partire da questo bellissimo testo potremmo accennare una riflessione sul “trascrittore come autore“.

Sappiamo che durante le indagini preliminari molto spesso le intercettazioni telefoniche e ambientali vengono trascritte a opera della polizia giudiziaria.
Sappiamo anche che sulla base di quelle stesse trascrizioni possono essere richieste ed emesse ordinanze di custodia cautelare, a seguito delle quali quelle stesse trascrizioni, ormai pubbliche, vengono riportate, citate, messe in risalto da quotidiani e televisioni.
Preso atto dello straordinario “peso” delle trascrizioni, non possiamo fuggire da queste domande.

Quanto spesso la trascrizione riporta in modo affidabile la conversazione intercettata?
Quale distanza separa quest’ultima dalla sua trasformazione in un testo scritto?

La Corte di Cassazione ci rassicura del fatto che della trascrizione non dovremmo occuparci più di tanto: in fondo, si legge in numerose sentenze, per trascrivere non ci vogliono particolari competenze, trattandosi di una semplicissima operazione meccanica.
Peraltro, continua la Suprema Corte, la trascrizione non è la prova, che risiede nella registrazione audio, ma una semplice “rappresentazione” scritta di quella registrazione.
Ecco dunque la teoria del “Grado Zero” della trascrizione: par trascrivere bastano un paio di cuffie e una buona volontà. Audio ergo transcribo. Facile. Tuttavia non è così semplice come ci vorrebbero far credere.

Certo non avremmo interesse a interrogarci sulla fedeltà della trascrizione, se il processo penale non si basasse sulle parole, se le ordinanze di custodia cautelare, le sentenze, le strategie difensive, i titoli di giornali non si formassero sulla base delle parole trascritte più che su quelle pronunciate e intercettate.
Poiché così non è, la questione della affidabilità della trascrizione è rilevante in qualsiasi società democratica.

Tutto il tema può esser sintetizzato osservando un dato: quando leggiamo la trascrizione di una intercettazione constatiamo come il testo sia pulito.
La trascrizione rappresenta quasi sempre un dialogo che si è svolto tra due interlocutori in modo ordinato, lineare, in cui, per esempio, il turno di parola viene di volta in volta preso in modo fluido, senza pause, esitazioni, sovrapposizioni, indecisioni.
La trascrizione offre dunque una rappresentazione lineare della conversazione intercettata.
Possiamo legittimamente dubitare però del fatto che nella realtà quella conversazione sia andata realmente in quel modo.

Nella trascrizione scompare l’oralità originaria: scompare la prosodia, scompaiono i fenomeni paraverbali, scompaiono le sovrapposizioni dei turni, scompaiono le pause e i silenzi, scompaiono spesso gli incipit delle conversazioni (spesso anche gli excipit).
Nella trascrizione spesso si dissolve tutta la originaria ricchezza della oralità, la multimodalità del parlato.

Le ragioni di questa riduzione all’essenziale nella trascrizione forense risiedono nella finalità della trascrizione stessa, che è non già quella di “rappresentare” il dato fonico (come sostiene la Cassazione), ma quella di renderlo leggibile a tutti i costi, anche a costo della semplificazione.
La trascrizione è un progressivo allontanarsi del testo dalla sua produzione fonica originaria.

La più illuminante dimostrazione di tale semplificazione risiede nel fatto che spesso nelle trascrizioni incontriamo intere sequenze della conversazione dissolte dietro gli “omissis“.
Gli omissis sono una scelta inconsapevolmente “politica” del trascrittore: costui sceglie di omettere una parte della conversazione perché, persino del tutto in buona fede, la ritiene “irrilevante” ai fini della comprensione complessiva della conversazione utile alle indagini.
Gli omissis sono frutto di una scelta, sono esercizio di potere discrezionale di un singolo. Sono creazione di un nuovo evento linguistico, del tutto diverso da quello originario intercettato.
Gli omissis pertanto (altrettanto potremmo dire delle pause e dei silenzi non trascritti, della sovrapposizione dei turni di parola non annotata, delle parole in dialetto mal comprese) dimostrano come la trascrizione spesso contenga un’alterazione della rappresentazione della conversazione registrata.

Poiché la registrazione costituisce la prova della conversazione, la sua trascrizione rischia di rappresentare in modo alterato una prova, nel senso (etimologico) che quest’ultima diventa “altro”.

Il trascrittore come autore, appunto.

Tutto ciò si riverbera drammaticamente sul corretto accertamento di un fatto di rilevanza penale.
Gli omissis a inizio di una telefonata impediscono di comprendere, per esempio, se i due interlocutori già si conoscessero, se tra costoro vi fosse un rapporto di confidenza oppure di tipo formale.
L’alterazione, l’omissione, la soppressione nella trascrizione di queste informazioni pregiudica l’esercizio della difesa, adultera la conoscenza processuale del fatto.

Il tema, dunque, è urgente: sulle trascrizioni si fondano le richieste di misura cautelare, le ordinanze, le strategie difensive, le sentenze.

Sulle trascrizioni si costruiscono anche quelle sentenze spesso di condanna, celermente pronunciate nella redazione dei giornali prima che nelle aule di tribunale (e di questa seconda giurisprudenza prima o poi dovremmo incominciare a formare un archivio ufficiale, scimmiesca parodia delle raccolte istituzionali delle pronunce degli organi giudiziari, se non altro per impedire che di tale quotidiana sciagura del diritto ci si dimentichi troppo velocemente).

Il processo penale prende forma sulle parole.
Le parole costituiscono veicolo di prova, pertanto devono essere garantite.
Una loro rappresentazione alterata fa deragliare il corretto esercizio della giurisdizione fuori dai binari costituzionali del giusto processo.

Image credit: Foto 42955219 / Parole © Igerbil | Dreamstime.com

ascolta il Podcast www.spreaker.com/user/oralegale/la-trascrizione-creativa

Di Iacopo Benevieri su Ora legale News

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