
Diritti e comunicazione responsabile
di Maurizia Borea (Avvocata in Milano – FronteVerso Network)
Il rapporto tra linguaggio, diritto e responsabilità nella comunicazione riguarda da vicino la battaglia per i diritti culturali, che, ad avviso di chi scrive, non può prescindere dalla necessità di garantire alla collettività la comprensione delle regole della convivenza civile, ossia, delle norme di condotta stabilite dall’ordinamento giuridico e applicate attraverso il sistema giudiziario.
Gianni Rodari (scrittore, pedagogista, poeta) ha scritto, con mirabile sintesi:
“Tutti gli usi della parola a tutti” mi sembra un buon motto, dal bel suono democratico.
Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo».
Assicurare la comprensione del linguaggio è, infatti, anche una questione di democrazia: non è un caso che la Costituzione italiana (1947) sia scritta quasi completamente con un linguaggio largamente accessibile.
Nell’interessante dibattito sui diritti culturali, ho, quindi, il piacere di riportare brevemente l’esperienza dell’Associazione “FronteVerso”, di cui faccio parte, che, nel solco dei principi sin qui enunciati, a partire dal 2013, ha unito alcuni colleghi nel tentativo di “tradurre”, per così dire, le sentenze dal “giuridichese” ad un linguaggio semplice e chiaro, che fosse comprensibile a tutti i livelli di età e di cultura personale.
L’idea è nata dalla considerazione che le sentenze, pur pronunciate solennemente “in nome del popolo italiano”, risulterebbero, in realtà, incomprensibili ai più. Abbiamo pensato che l’uso di un linguaggio a volte oscuro, affettato, e, quindi, inaccessibile ai non addetti ai lavori, contribuisca a marcare una distanza enorme tra il diritto e i cittadini.
Tuttavia, la possibilità di comprendere le sentenze è essenziale per l’esercizio della cittadinanza, intesa come partecipazione attiva e consapevole alla vita pubblica. Infatti, le sentenze danno sostanza ai precetti stabiliti dalle norme, e, perciò, non sono meno importanti di esse.
Inoltre, pur non vigendo nel nostro ordinamento il principio di matrice anglosassone dello stare decisis, nella giurisprudenza si formano degli orientamenti sul significato da attribuire ad una norma, che, consolidandosi, con il contributo della scienza giuridica, fondano quello che viene definito “diritto vivente”.
Ancora, sempre più spesso, e su temi di particolare rilievo, la giurisprudenza rappresenta l’avanguardia e svolge il ruolo di pungolo al legislatore: si pensi, ad esempio, all’eutanasia, al suicidio assistito, e così via.
FronteVerso ha visto la luce come una newsletter scritta da avvocati, si è via via arricchita del contributo di altre professionalità, fino a fiorire in un’Associazione che vede oggi la partecipazione di un gruppo interdisciplinare impegnato su più fronti, nella missione comune di rendere il linguaggio giuridico, e i linguaggi specialistici in generale, accessibili a tutti.
Il nome dell’Associazione vuole restituire, anche simbolicamente, la presenza di due facce, ossia, il linguaggio ermetico della curia e il linguaggio chiaro e semplice dell’uomo comune, nel suo vivere quotidiano, senza rinunciare al rigore e alla completezza dei concetti.
La scelta delle sentenze da trattare punta a coinvolgere il maggior numero di lettori, quindi, si prediligono pronunce della Corte costituzionale o della Cassazione su temi di grande attualità, e altre volte si cerca di far emergere argomenti sicuramente interessanti ma meno spettacolari.
Così, ad esempio, sono state esplorate le tematiche della convivenza more uxorio, della fecondazione eterologa, dei matrimoni omosessuali, della libertà di manifestazione del pensiero, di religione, e così via, sul fronte dei diritti civili.
Con riguardo ai diritti sociali si è spaziato dal reato che commette il dipendente pubblico che omette di timbrare il cartellino uscendo dall’ufficio al riconoscimento del lavoro domestico, ci si è occupati dei contributi alla scuola privata, si sono registrate le aperture dei tribunale sul “fine vita” diversi anni prima che la legge 219/2017 introducesse il cd. testamento biologico.
Inoltre, facciamo ricorso ad alcuni accorgimenti, come l’ironia nel titolo e l’utilizzo di immagini accattivanti (qui un esempio di newsletter con “traduzione” a sinistra e testo integrale della pronuncia a destra: https://mailchi.mp/fronteverso/conoscere-il-diritto-novembre-la-scuola-cattolica).
Quello che conduce alla cd. traduzione è, poi, un processo che si articola in più passaggi: l’avvocato la elabora, e poi viene sottoposta alla rilettura da parte della redazione, composta da non addetti ai lavori, i quali, sostanzialmente, ne verificano la chiarezza.
L’Associazione FronteVerso è nata, e si sviluppa, credendo convintamente che la scelta delle parole “giuste” per comunicare sia una scelta necessitata e responsabile, e che sia al contempo una responsabilità di tutti, specialmente di chi detiene il sapere specialistico, e, con l’uso di un linguaggio corretto e comprensibile, può concorrere alla sua massima diffusione.
La considerazione vale per il diritto, per la medicina, per l’informatica, per il giornalismo, e così via.
Parafrasando la dottoressa Amari, l’altra faccia dei diritti culturali sono i doveri culturali, come quello di rendere il sapere, a partire dal diritto, alla portata di tutti. E se la battaglia per la diffusione della cultura è una battaglia per la democrazia, non c’è campo più significativo del diritto per combatterla con fermezza.
L’Enciclopedia Treccani definisce la democrazia come “la forma di governo che si basa sulla sovranità popolare e garantisce a ogni cittadino la partecipazione in piena uguaglianza all’esercizio del potere pubblico”.
Occorre, quindi, domandarsi come si concili la garanzia di partecipazione all’esercizio del potere pubblico di tutti i cittadini, su un piano di uguaglianza, con il fatto che la maggioranza di essi non sia messa nemmeno nelle condizioni di capire le regole della convivenza democratica.
Non è stato sempre così.
Siamo, infatti, passati dalla considerazione che “il 93% del testo della Costituzione è fatto con il vocabolario di base della lingua italiana, col vocabolario di massima frequenza, col vocabolario che già nelle scuole elementari può essere ben noto”, come ha sottolineato il linguista Tullio De Mauro, alla constatazione che il Paese soffre di “un’abnorme inflazione normativa”, e che le leggi sono “spesso di orribile fattura, scritte non si sa da quante mani e forse piedi, interpretabili come i vaticini della Sibilla”, come ha avuto modo di affermare l’allora Presidente del TAR Milano De Zotti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016.
Il problema è ben noto al legislatore, tanto che già nel lontano 1997 è stato istituito presso la Camera dei deputati il Comitato per la legislazione, che si occupa anche della verifica della “semplicità, chiarezza e proprietà della formulazione” dei testi.
Nel volume “La buona scrittura delle leggi”, che raccoglie gli atti del seminario tenutosi nel settembre del 2011 a Montecitorio, si legge: “Si è rilevato in particolare come l’ipertrofia normativa, con il proliferare di regole e prescrizioni a carico di cittadini, famiglie e imprese ed il diffuso stato di incertezza normativa, dovuto a carenze nella qualità della legislazione in termini sia formali sia sostanziali, abbiano prodotto e producano un costo, oltre che per l’economia, per la stessa democrazia, in quanto riducono l’effettiva conoscibilità dell’ordinamento giuridico da parte di coloro che vi sono soggetti” (https://www.camera.it/temiap/temi16/La_buona_scrittura_delle_leggi.pdf).
Nello stesso anno ha visto la luce il Manuale di Stile dei documenti amministrativi di Alfredo Fioritto, ed è del 2002 la “Direttiva sulla semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi” del Ministero della funzione pubblica (https://www.funzionepubblica.gov.it/sites/funzionepubblica.gov.it/files/16872.pdf).
È, quindi, diffusa da almeno vent’anni e largamente condivisa l’idea che la buona scrittura delle leggi sia un’esigenza – e, dunque, una responsabilità – della democrazia: ciò che risulta di gran lunga più difficile è mettere in pratica le buone intenzioni e individuare le cause di tale difficoltà.
Dagli atti del seminario, di cui consiglio vivamente la lettura, emergono diverse posizioni: si va da chi ipotizza una scarsa chiarezza negli obiettivi da raggiungere attraverso la norma, che si riflette poi sulla sua forma (G. Amato), a chi rileva che il livello della padronanza linguistica di chi redige i testi è davvero molto basso (C. Zucchelli, e, con lui, la gran parte dei relatori), a chi rimarca la necessità di incidere sulla formazione scolastica, rilevando come oggi manchi “una buona scuola di base, che fornisca al cittadino comune la conoscenza del buon uso della lingua”, in modo che si arrivi ai concorsi pubblici o a far parte degli uffici legislativi con una solida preparazione (F. Sabatini).
Non si può sottacere, infatti, il preoccupante analfabetismo di ritorno che si registra in Italia, il quale incide significativamente, oltre che sulla capacità di scrivere in modo adeguato, anche sull’attitudine ad esercitare pienamente i diritti scaturenti dallo status di cittadino, la qual cosa, come ho già accennato, ha molto a che fare con la democrazia.
Una delle possibili soluzioni prospettate è quella di affidare la redazione dei testi normativi ai cosiddetti “legisti”, una figura ibrida tra giuristi e linguisti, che abbiano la capacità di manovrare il diritto, ma soprattutto di utilizzare l’italiano.
Quest’ultimo è un punto fondamentale: è sicuramente necessario garantire una buona conoscenza della lingua italiana, e, quindi, l’accesso ad un’istruzione di qualità a tutti i cittadini, ma è altrettanto essenziale insegnare il modo giusto per comunicare il sapere, che è – senza dubbio – quello che consente all’interlocutore di capire. Ciò, con più forza, con riferimento al discorso pubblico, che si esplica anche attraverso le leggi e le sentenze.
Citando ancora De Mauro: “Chi non si fa capire viola la libertà di parola dei suoi ascoltatori. È un maleducato se parla in privato e da privato. È qualcosa di peggio se è un giornalista, un insegnante, un dipendente pubblico, un eletto dal popolo”.
Mi pare eloquente, al riguardo, un’altra riflessione emersa nel corso del citato seminario, relativa al sito internet “Normattiva”, che fornisce gratuitamente il testo degli atti normativi. Ebbene, la sua gestione ha fatto emergere in modo manifesto l’inconciliabilità talvolta esistente tra il linguaggio comune e quello giuridico.
Il relatore si è domandato: «… come può il cittadino sapere qual è l’età in cui smetterà di lavorare per andare in pensione, se egli formula la domanda in questo modo colloquiale: «quando andrò in pensione? A che età andrò in pensione?». Infatti, il legislatore formula la regola in termini diversi: «termine finale del rapporto di lavoro» o «collocamento in quiescenza» o altro.
Qual è l’aggancio tra il linguaggio ordinario e il linguaggio del legislatore? […].
Dobbiamo chiederci se non sia anche necessario avvicinare il linguaggio giuridico al linguaggio familiare, ed in quale misura questo avvicinamento sia possibile senza perdere la specificità del significato giuridico. L’esempio più banale che si propone spesso è quello che paragona il termine «negozio» (bottega in linguaggio usuale) con «negozio giuridico» senza dimenticare la sub categoria, rilevantissima, dei contratti (negozi giuridici a contenuto patrimoniale).
[…] Occorre, in sostanza, evidenziare la dicotomia, che si colloca oltre il problema del cattivo linguaggio, tra la formulazione del linguaggio comune e la formulazione della norma nel linguaggio del legislatore» (C. Zucchelli).
Dall’accorta osservazione che precede si percepisce istantaneamente il danno insito nel divario esistente tra il linguaggio comune e quello giuridico, e la connessa responsabilità che incombe sugli operatori del diritto.
Come ha affermato il compianto prof. Stefano Rodotà: “Misura, rigore, pulizia del linguaggio, rispetto degli altri. Sono queste, o dovrebbero, le regole di ogni discorso pubblico…”.
A queste belle parole fa da contraltare la realtà.
Il prof. Michele Ainis, costituzionalista che si è occupato molto di comunicazione, in un articolo apparso sul Corriere della Sera nel 2015, ha scritto: “C’è una vittima, c’è un agnello sacrificale nei nostri costumi politici e giuridici. Ne fa le spese la legalità, perché in Italia la legge è opaca, ingannevole, insincera”.
E ne fa le spese la legalità perché se i cittadini non capiscono le regole è più facile che tentino di aggirarle o che le violino; senza considerare il senso di esclusione indotto dall’incapacità di comprendere, il quale, pure, contribuisce allo scollamento della società civile dalle istituzioni e dalla politica.
Alla luce degli scarsi risultati ottenuti finora dalle Istituzioni, nonostante da decenni si parli di semplificazione delle leggi, mi piace condividere la conclusione della relazione presentata dal prof. Giuseppe Ugo Rescigno al più volte citato seminario su “La buona scrittura delle leggi”, che ritengo non sia stata minimamente scalfita dal trascorrere del tempo, e cioè, che “almeno per l’oggi e almeno in Italia, i politici, quando agitano il tema della buona redazione delle leggi, o mentono spudoratamente, o non sanno nulla di ciò di cui parlano, e comunque sono disperatamente al di sotto dei loro compiti”.
Questa dolorosa conclusione non deve certamente indurre alla rassegnazione, ma stimolare all’azione, ciascuno nel proprio campo.
Noi avvocati, nella redazione degli atti, potremmo impegnarci a curare il nostro modo di esprimerci, e provare a stimolare il cambiamento con l’esempio di una scrittura semplice, chiara, sintetica, con la convinzione di poter giocare un ruolo importante nella necessaria e auspicata semplificazione del linguaggio giuridico.

Credits: https://scontent.fbri1
Di Maurizia Borea, su Ora Legale News
#TOPICS: ultimi articoli
Avvocati, cosa… come…?
Massimo Corrado Di Florio
Autentici depositari di una fede di libertà
Rilevanza strategica
Andrea Buti
Inquadrare il problema, individuare le opzioni, immaginare gli scenari
Per prima cosa, uccidiamo tutti gli avvocati
Aldo Luchi
Le battaglie per i diritti di tutti e non per il privilegio di pochi
Lo sguardo laico
Nicola Cirillo
Una funzione propulsiva del progresso e dello sviluppo sociale
Dieci ragazzi per noi
Ileana Alesso
Il linguaggio del legame sociale è un linguaggio “speciale” che deve essere “normale
Sentimenti e regole
Antonio Pascucci
Le regole sono il fondamento di ogni comunità strutturata, necessarie per garantire un equilibrio tra ordine e libertà
Un fiocco di tanti colori
Paola Furini
Ai ragazzi e alle ragazze è stata garantita la possibilità di partecipare alla vita pubblica
Rubriche: ultimi articoli
Andrea Mazzeo Le condotte conflittuali o di sopraffazione tra i coniugi non sono equiparabili al mobbing nel mondo del lavoro
Anna Frasca
Esiste una correlazione inversa tra il lavoro domestico e il desiderio di avere figli
Paola Regina
La giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo ha elaborato
nozioni autonome di diritto e di legge
Emilio De Capitani
Elementi fondanti per il diritto all’auto determinazione di ogni individuo e per il funzionamento di una società democratica
Roberta De Monticelli
L’idea di trasparenza è il luogo dove la logica si salda con l’etica
Stefania Cavagnoli
L’importanza del diritto e della sua comunicazione come strumento di relazione e di garanzia
Massimo Corrado Di Florio
Le parole non devono essere ingannatrici
Trasparenza delle leggi e strumenti di democrazia partecipativa in Italia e in Europa
Ileana Alesso
Se un linguaggio che non è possibile capire e parlare è un linguaggio che rende muti, ferisce le persone e la comunità, occorre la bussola di una lingua comune per l’orizzonte disegnato dalla Costituzione
Povera, si direbbe.Che già ad essere figlia di Agamennone e…
Giovanna Fava
Le richieste di provvedimenti in materia di famiglia sono tutte urgenti
Angelo Santi
Un campo di azione in cui esplicare la libertà delle parti
Andrea Casto
Prima di tendere alla emenda del reo, la pena deve essere sanzione e monito