Discriminare le discriminazioni di genere

Discriminare le discriminazioni di genere

di Annamaria Frasca (Esperta statistica – componente comitato scientifico APS CREIS)

Dal 22 ottobre 2021 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la legge n. 215 ha visto l’estensione delle competenze in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Alla tradizionale competenza dei funzionari delle Aziende Sanitarie, si affianca, quella degli ispettori del lavoro.

La necessità è stata richiamata dall’imponente preoccupazione del crescente fenomeno dei “morti sul lavoro” a seguito della ripresa delle attività lavorative nel periodo post pandemico.
La norma entrata in vigore ha avviato ed attivato immediatamente percorsi formativi e di approfondimento per il personale ispettivo dell’INL consentendo l’acquisizione di nuove pratiche di controllo nella sicurezza e salute negli ambienti di lavoro.

Per l’effettivo espletamento delle nuove competenze si è provveduto, quindi, anche in assenza di specifiche esperienze, alla messa in campo di modalità operative per rendere possibile e realizzabile l’effettività della tutela sulla sicurezza e salute delle lavoratrici e dei lavoratori.

Un impegno rilevante ed apprezzabile come mostrano i dati relativi ai primi 9 mesi del 2022. I dati disponibili, pubblicati il 2 gennaio 2023 sul sito dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, evidenziano che nel periodo 1° gennaio – 30 settembre le sospensioni delle attività imprenditoriali per gravi violazioni in materia di salute e sicurezza sono state 2.120 a fronte di solo 9 registrate nello stesso periodo nell’anno precedente, prima dell’entrata in vigore della nuova norma.

Ciò dimostra che l’incremento dell’attività dell’Ispettorato del Lavoro porta a risultati immediati e positivi per i lavoratori e per le stesse imprese
comunicato stampa INL pubblicato il 26 ottobre 2022.

Erano solo 9 le sospensioni determinate per motivi di sicurezza e salute un anno fa, fino al 30 settembre invece se ne contano 2.120.

Lo stesso INL pubblica i dati riguardanti la “parità e le pari opportunità di genere“, registrando negli anni sempre valori bassi.
L’ultimo dato – anno 2021 – sulle lavoratrici tutelate è pari a 13 (Relazione sull’attività svolta dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, pag. 23).
13! E di queste 13 non è conosciuta la norma violata.

Sul Rapporto INL 2021, alla sezione “La dimensione di genere nei dati di vigilanza”, si osserva che nel triennio 2019-2021 il 7% delle violazioni riguardanti le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro sono riferite alla disparità economica.

Dall’entrata in vigore della previsione dell’art. 28, d.lgs. n. 198/2006 riguardante la discriminazione retributiva, nel 2021 viene quantificato il dato delle violazioni in esame e divulgato solo in termini percentuali, appunto il 7% delle discriminazioni sono associate al livello della retribuzione corrisposta alle lavoratrici.

Si assiste, quindi, da un lato, alla volontà legittima e condivisa di contrastare le morti sul lavoro, attribuendo nuove competenze agli ispettori che in un anno di vigenza della nuova norma fanno innalzare il dato delle sospensioni dell’attività imprenditoriali per gravi motivi di sicurezza e salute, e, dall’altro, purtroppo, per le discriminazioni di genere, si constata ancora determinazioni di intenti, se pur previsti ormai da decenni normativamente, ma non effettivamente applicate.

Intenti esplicitati e declinati nelle forme istituzionali e in più occasioni richiamati, come da ultimo nel documento di programmazione della vigilanza per il 2023, nel quale si legge che tra i principali obiettivi dell’INL ci sarà quello di svolgere “azioni incisive per la rilevazione e il contrasto delle violazioni alla normativa per la parità, pari opportunità e delle varie manifestazioni di discriminazioni nei luoghi di lavoro”.

Nel 2023, pertanto, si rappresenta ancora la necessità di aggredire il fenomeno delle discriminazioni che la norma del 2006 ha previsto e definito nei dettagli.
L’auspicio è di fornire il doveroso e atteso impulso a contrastare le disparità e promuovere la parità salariale, punto di partenza per garantire l’indipendenza economica.

Una delle forme più comuni della differenza retributiva si registra come mancata corresponsione dell’indennità di maternità, parziale o totale alle lavoratrici madri.

L’effetto oggettivo del comportamento datoriale nel caso di mancata corresponsione dell’indennità è discriminatorio, se pur in alcuni casi non intenzionale, in quanto provoca una situazione di disagio dovuto al venir meno del sostentamento economico necessario, in un momento di estrema fragilità.
Discriminatorio perché donna nel periodo di maternità.

All’art. 25 del d.lgs. 198/2006, comma 2-bis, si prevede che costituisce discriminazione, ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti.

Il dato pubblicato nella citata relazione dall’INL relativo alla tutela delle lavoratrici madri o lavoratori padri è di 232 per l’anno 2021, verosimilmente associato alla contestazione dell’illecito di cui all’art. 43 del d. lgs. 151/2001 – l’’indennità è anticipata dal datore di lavoro ed è portata a conguaglio con gli apporti contributivi dovuti all’ente assicuratore – la cui sanzione amministrativa è al massimo di circa 42,00€.

Gli stessi datori di lavoro, tuttavia, trasgredendo al pagamento parziale o totale di tali indennità, oltre a violare le suddette norme pongono in essere comportamenti discriminatori sul livello retributivo, ovvero operano una discriminazione salariale che rappresenta una violazione della norma dell’art. 28, d.lgs. 198/2006, a cui corrisponde una sanzione amministrativa da 5.000 a 10.000 euro, in base all’art. 1, commi 1, 2 e 5, lettera a), del d.lgs. n. 8/2016.

È possibile, quindi, che il numero 232 descriva la narrazione di un disagio economico provocato dalla mancata corresponsione dell’indennità che la Giurisprudenza ormai riconosce come una discriminazione diretta operata sul livello retributivo, una discriminazione retributiva.

L’intervento legislativo coraggioso e propulsore che ha esteso le competenze solo un anno fa, dando pienezza dei poteri ispettivi nella materia della sicurezza e salute nei luoghi di lavoro al ruolo dell’Ispettorato del lavoro, non altrettanto lo è stato sulla parità e pari opportunità di genere, almeno fino a questo momento.
È un fatto. E sono i dati che lo confermano.

Il documento di programmazione della vigilanza 2023 apre, però, ad una nuova visione.

Con il decreto Interministeriale del 20 ottobre 2022, in attuazione della disposizione per la concessione degli esoneri contributivi introdotti in favore delle aziende private che sono in possesso della certificazione della parità di genere, introdotta dalla legge n. 162/2021, l’Agenzia INL assume un ruolo centrale per la verifica della veridicità di quanto indicato nel rapporto biennale.

Questo documento attesta quali sono «le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità».

Le attività di verifica e controllo che saranno introdotte rappresenteranno uno strumento concreto verso la riduzione della forbice esistente tra il salario medio maschile e femminile che nel 2018, in Italia è stato stimato del 5,5%, valore decisamente inferiore alla media Ue28, pari al 15,3%, e in calo rispetto al 2014 (6,1%).
L’Istat sottolinea tuttavia che, se ci si limita a considerare il comparto a controllo privato, il Gender Pay Gap italiano raggiunge il 17,7%.
È, infatti, la maggiore presenza di donne nel comparto pubblico, che notoriamente mostra un GPG più contenuto (4,4%), a determinare il valore particolarmente basso per l’Italia.

Credits: Millo,YOUR SKY borgouniverso.com/street-art

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