
Iustitia Delenda
di Massimo Corrado Di Florio
Tre delle caratteristiche principali che connotano la nostra attuale realtà: Volume, Velocità, Varietà.
Non è una novità che la prossima tappa da raggiungere è rappresentata dalla nuova tecnologia denominata 5G.
Non è nemmeno ancora immaginabile quale potrà essere l’effetto finale della tecnologia 5G. il c.d. Big Data.
Tutto ha a che fare con tutto.
Una sorta di rete a maglia fittissima in cui le trasformazioni saranno impressionanti.
Non è nemmeno una questione riferibile alla tecnologia priva di controllo umano, è solo questione di intelligenza artificiale.
Eh già, intelligenza artificiale che, peraltro, esiste perfino nei nostri comunissimi telefoni cellulari.
In questo contesto di innovazione continua, si assiste a qualcosa che -inevitabilmente- colpirà l’umanità nelle sue più complesse articolazioni.
I c.d. dispositivi intelligenti anticiperanno i nostri comandi e, in tal modo, ciò di cui abbiamo bisogno, verrà anticipato dai nostri dispositivi.
È impressionante, vero? Forse sì.
In questo avveniristico clima, qui da noi, nella nostra meridionalissima Bari, la giustizia è crollata.
Fisicamente crollata, infischiandosene dell’avveniristico mondo destinato ad anticipare i nostri bisogni.
È assai verosimile che il bisogno di giustizia non sia (non più, almeno) un vero bisogno.
Eppure, sarebbe stato magnifico sognare un meccanismo che anticipasse il crollo, ovvero il pericolo del crollo (quello del palazzo in via Nazariantz, per intenderci).
Tuttavia il tempo, che oggi vive una sua propria vita accelerata, da noi ne è uscito del tutto sconfitto.
Eh sì. La giustizia ha sconfitto il tempo.
La pericolosità del crollo (che, a quanto si legge, dura da un ventennio circa), ha sconfitto il tempo.
Altro che Volume, Velocità e Varietà.
Il tempo è stato fermato esattamente come sarebbe potuto accadere in un fotogramma sbiadito, bianco e nero, decolorato, con viraggio seppia.
Una colorazione antica; la giustizia, da noi, è antica e, nella sua accezione più negativa è antica poiché vecchia senza nemmeno essere stata nobilitata dalla maestosità dell’antico.
È vecchia esattamente come un vecchio elettrodomestico malfunzionante. Di quelli che, forse, si riavviano, cigolanti, fino a fermarsi del tutto, esausti. La giustizia, una vecchia lavatrice con cinghia di trasmissione ingottata. Un dispositivo a -5G (si legga: meno cinque Gi).
Iustitia delenda est, scrivevo qualche mese addietro e, ottimisticamente, attendevo il sale (quello di romana memoria); sì, ottimisticamente perché dimenticavo gli effetti salvifici e conservanti del sale.
Qui, oramai, è meglio non conservare nulla e i venti di novità che spirano sono privi di effetti salutari.
Sono soltanto tempeste prive di controllo.
Il caos è già tra noi.
Il portiere del mio stabile parla di “problematiche” senza nemmeno sapere cosa sia una problematica.
È affezionato al termine avendolo ascoltato in chissà quale trasmissione televisiva, una di quelle con gli indovinelli un po’ sciocchi, ovvero ha imparato ad essere “circonciso” (come un qualche anonimo Onorevole ha avuto modo di dire in Parlamento) rispetto al problema del cigolìo del portone dello stabile.
Siamo in questa melma, ben sommersi fino al collo. Siamo nel girone degli accidiosi.
Venti anni (o quasi) di avversione all’operare, neghittosità indefessa (un ossimoro?).
Accidia per sempre.
Quale che sarà il racconto, io denuncio un mio personale disagio.
In questa struttura narrativa, la cifra stilistica è completamente impoverita poiché priva di una sua dignitosa profondità di campo.
Il palazzo sta per crollare.
Da quasi venti anni è lì lì per autodistruggersi e, con esso, l’intero sistema della giustizia penale.
Un bisogno che non è più un bisogno.
Si respira una amara sensazione di mancanza di prospettive, ovvero di una prospettiva ai più ignota.
Quel che sgomenta, infine, è un sotterraneo atteggiamento di più o meno impostazione laicista dello Stato e, contemporaneamente, profondamente anti-moderno.
Ricordiamo tutti che la nostra Costituzione non contiene la parola Dio.
Ciò nonostante un rappresentante del Governo in carica esibisce il rosario, pur affermando di non “pregare” il rosario.
È il trionfo dell’immagine, costi quel che costi.
L’aria riformista è davvero ben strana.
Continuo a pensare che la Divina Provvidenza non risolverà alcun problema.
L’attesa produce solo altra attesa e, infine, frustrazione.
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