La marcia del granchio

La marcia del granchio

di Anna Paola Lacatena (Sociologa c/o Dipartimento Dipendenze Patologiche ASL TA)

Ultimamente […] mi è stato chiesto: «C’è speranza?».
La mia risposta è: «C’è sempre speranza».
La speranza è innata in noi. È pure contagiosa: dove c’è speranza ce ne sarà sempre di più, perché se c’è speranza la gente si sforza in quella direzione. Ed è uno sforzo quello che, in futuro, tutti dovremo fare. Magari è questo il vero significato degli zombie: sono come noi, ma a loro manca la speranza.
Vi auguro speranza.

(M. Atwood, Questioni scottanti, Ponte delle Grazie, Firenze, 2022)

Tra chi fa fatica a progettarlo e chi neppure si pone più domande sul futuro, il passato sembra aver preso saldamente il sopravvento.
Troppo incerto e inaffidabile ciò che sarà per non ripiegare sulla presunta e (molto) idealizzata stabilità di ciò che fu.

Molto più tranquillizzante il passato a fronte del malsicuro che potrebbe attenderci domani, abbiamo preso, dunque, a procedere arretrando. Siamo periclitati nella paura della paura, ospiti della gran fiera dell’insicurezza, alla ricerca di ampi silos in cui scaricare la gran parte del carico del nostro risentito narcisismo.

Quando voglio io, dove dico io, perché lo dico io… è umanamente irrealizzabile.
Sarebbe utile che l’autorevolezza (cercasi disperatamente), dopo l’ebbrezza del posso tutto del capitalismo senza reale democrazia- fatta di profitti più bassi e politiche ridistributive -, tornasse a spiegarcelo (meglio se con le buone).

«I mutamenti sociali, economici, politici e ambientali determinatisi in quest’ultimo secolo hanno contribuito a formare un nuovo tipo di paura che definisco “sistemica”. La paura sistemica interessa non solo e primariamente il mondo economico e finanziario, ma anche quello politico, sociale, culturale e mediatico. La paura sistemica si manifesta nel momento in cui un’intera organizzazione di potere collassa, là dove la classe politica si rivela incapace di governare e i governati decidono di non riporre più alcuna fiducia in chi comanda. La paura non è pertanto solo un’emozione individuale, quanto piuttosto uno status, una condizione esistenziale posta a fondamento delle relazioni umane.»
(Cedroni L., Paura sistemica e potere globale, Periodico Comunicazionepuntodoc, Anno: 2012/2013 – Volume: 7 – Fascicolo: 7, 101 -110.).

Se il futuro ci spaventa allora viviamo la presentificazione del tempo dove è molto più facile che la negazione di un like aduni il nostro risentimento anche a fronte di reati e misfatti di ben altra portata.
Il futuro è ostaggio del populismo (anti)politico che anela, famelico, al consenso attribuito con la pancia. Forse, ci sfugge che quella pancia è la nostra, però, e che tanto di più potremmo fare per migliorare il nostro presente, se solo lo volessimo, coltivando anche solo la possibilità di distinguere il bene dal male, almeno quello meno ostaggio delle ondivaghe distinzioni dell’esubero di soggettività.

La paura di perdere il lavoro, di non arrivare a fine mese, di non riuscire a pagare le bollette, di vedere ridimensionate le aspettative legate alle abilità apprese dai propri figli che, almeno teoricamente, avrebbero dovuto garantire un posto (più o meno) sicuro sulla grande giostra del mercato, sono un quotidiano surplus di spinta alla retrotopia (Bauman Z., Retrotopia, Editori Laterza, Bari-Roma 2017, p.XII).

Il conforto d’altronde è sempre un po’ in ciò che conosciamo già, al di là di quanto quello stesso tempo non sia stato in grado di corrispondere alle promesse. Ė corta e selettiva a piacimento la memoria.
Individualismo, isolamento, consumi, violenza, continui richiami ad una sicurezza apparentemente mai pienamente conquistata, xenofobia, omofobia, compilato il form non vediamo l’ora di delegare al Leviatano di turno – e se c’è da rinunciare a qualche libertà si rinuncerà.
L’ordine, il merito, l’applicazione certa della legge non possono più attendere.

Nella costante e quotidiana attività di deformazione della realtà operata dalla politica, è ancora possibile l’integrità del cittadino sempre meno globale?
Il passato è il sogno purificatore, il futuro l’incubo che perpetuerebbe un’inaccettabile presente, è ancora possibile invertire la rotta?

Forse se fossimo in grado di rompere lo specchio di Narciso, riappropriandoci di categorie come: dialogo, relazione sociale, limite, desiderio, attesa. Forse, rinnegando la menzogna capitalistica del tutto è accessibile a tutti, invertendo il collasso delle passioni, ridimensionando la tecnocrazia, il futuro piacerebbe meno ai creditori e più ai giovani.

Per chi ha fede – in qualcosa che è più Grande e a cui attribuire un nome e un’origine è già negarne l’universalità – il tutto potrebbe risultare più semplice ma questa è la società del trionfo dello scientifico e dell’esatto, la società del c’è sempre una soluzione… e, preferibilmente, un sempre nuovo problema, un nuovo nemico, una nuova guerra.

Qualsiasi possa essere la risposta, resta il fatto che «la più difficile delle lotte è quella per rimanere umani in condizioni di disumanità.» (Bauman J., Winter in the morning. A Young girl’s Life in the Warsaw Ghetto and Beyond, London: Virago: Trad. it. Inverno nel mattino: una ragazza nel ghetto di Varsavia, Bologna, Il Mulino, 1994, p. 10).

Credits: www.europeanbusinessreview.com

Di Anna Paola Lacatena, su Ora Legale News

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